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Passioni e decoro, il fuoco sotto la cenere
Nel romanzo di Piero Chiara ho ritrovato le atmosfere e le piccole, grandi ambizioni della provincia lombarda che mi è familiare, con l’aggiunta di un pizzico di pepe, tipico dell’autore.
Negli indaffarati e all’apparenza indifferenti ambienti di provincia i brucianti sussurri relativi a qualche piccolo scandalo erotico-sentimentale vanno di bocca in bocca con la velocità del lampo.
Il pretore di Cuvio, un certo Augusto Vanghetta, di aspetto laido e di limitata intelligenza, è dotato di insospettabile foga virile: “Ho un cane,” dice, “che vuol mangiare due volte al giorno e che è sempre affamato”. Sapendo che questo suo modo di essere è incompatibile con il decoro che la sua carica richiede, decide di crearsi una facciata di rispettabilità borghese sposando Evelina, orfana bella e benestante, di parecchi anni più giovane di lui.
La trascurerà presto, tradendola costantemente e l’infelice ragazza finirà col deperire sempre più, malata di una misteriosa malattia che sembra consumarla.
Il giovane aiutante di studio, assunto del marito perché svolga il lavoro al posto suo, lo sostituirà del tutto e risveglierà in lei l’amore e il ritorno alla salute. Sarà proprio il pretore che favorirà il loro rapporto, affibbiando la consorte al sottoposto Landriani spesso e volentieri, per essere più libero di frequentare la sue amanti.
La moglie e l’aiutante addirittura lo estromettono dalla zona notte della casa, creando un triangolo amoroso di cui all’inizio il marito non è consapevole.
Evelina resta incinta ed è evidente a tutti che il padre non è Vanghetta, che indaga di salotto in salotto e addirittura incarica un investigatore per scoprire chi è l’autore del miracolo che a lui non è riuscito in tanti anni. Non gli resta che fare buon viso a cattivo gioco, attribuendosi infine la paternità del nascituro.
Chiara è abilissimo a condurci lungo la storia con naturalezza , divertito e divertente, quasi non facendo notare lo stile perfetto e misurato, gustoso ed esplicito, ma mai volgare.
L’autore è un affabulatore nato, non a caso arriva alla prosa dopo aver intrattenuto gli amici intellettuali con i suoi racconti sagaci e boccacceschi.
L’amara conclusione della vicenda giunge inaspettata a ricordarci quale sia l’effimero destino degli uomini.