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LA POTENZA DELLA VITA E DELLA GUERRA
Ho amato molto questo libro, immenso, della Mazzantini. L’ho riletto da poco, come richiamata, stregata, dalla potenza del racconto. Si tratta di un romanzo complesso, di vita e di morte insieme. Leggerlo ti apre uno squarcio nel profondo, fa rivivere sulla tua pelle le sensazioni, la fragilità, la forza dei protagonisti: le pagine, spesso struggenti, ti lasciano un sentimento a volte di tenerezza, misto a impotenza, alternato a dolore sordo e speranza. E’ un romanzo che ti prende, ti trascina con la forza dirompente della vita; vita che ogni giorno nasce e finisce. La scrittura della Mazzantini è sublime; con realismo e attenzione ai dettagli l’autrice scava dentro i suoi personaggi, senza timore di fotografarne le contraddizioni, le vigliaccherie, le paure. Ci si commuove, si sorride, si piange; trasuda da ogni pagina l’umanità di questa storia che pare vera più del vero, resta incisa nella memoria e ti chiede di non dimenticarla.
Da principio l’incontro fra Gemma e Diego: una passione imprevista, incauta, fortissima. “E’ la vita che mischia le carte, che d’improvviso canta e anticipa il giorno”. I due si conoscono a Sarajevo, durante le Olimpiadi invernali dell’’84. Lei è lì per una tesi post laurea su Andric, lui è un giovane fotografo. Sarajevo, non ancora dilaniata dalla guerra, con i suoi giochi olimpici e la sua gioia precaria, sarà più di uno sfondo, sarà quasi un interlocutore per i vari personaggi. Per qualche tempo Gemma tenta di sottrarsi alla forza di questo sentimento fortissimo per quel ragazzo, magro e tenero, conosciuto in Jugoslavia. Scivola così, inerte, nella normalità fredda, calcolata, di un matrimonio organizzato da tanto ma non realmente voluto. A poco a poco, però, si sentirà soffocare. “Non sono contenta di me stessa” dirà dopo qualche mese dalle nozze.
Di nuovo sarà Sarajevo a riavvicinarla a Diego, che non l’ha mai dimenticata, che l’ha sempre aspettata con lo stesso identico ardore. I due vivono insieme per un periodo, a Roma, ubriachi di sentimento, felicità ed entusiasmo. Ecco però che un’altra prova tremenda, fisica e spirituale segna Gemma: la ricerca, via via più affannosa e disperata di un figlio che non arriva. Ogni tentativo, ogni speranza, poi ogni minaccia d’aborto rimangono impressI in lei come cicatrici dello spirito.
Proprio questa lotta contro il tempo e contro il corpo riavvicina la coppia a Sarajevo. Sono passati anni, la guerra in Jugoslavia è vicina. Il martirio di Gemma la trasfigura, la scava, stravolge sempre più il suo amore per Diego, verso cui forse si sente inconsciamente in colpa; questi, invece prova un sentimento integro, fortissimo, quasi viscerale per lei. “Era come stare dietro a una moglie malata di un’ossessione solitaria”.
La guerra poi esplode; la guerra temuta, inconsciamente rimossa, che di colpo fa precipitare in un baratro, rende lontane le piccole sicurezze della vita normale, sbatte in faccia le immagini di corpi lacerati, di bambini strappati alle madri, di granate che sfigurano i palazzi e segnano l’anima. Diego, con le sue foto rende testimonianza di questa follia disumana. Egli decide, dopo una pausa in Italia, di ritornare in Jugoslavia, per non abbandonare chi è solo, per aiutare, per testimoniare quell’orrore di cui poco e male si parla. Gemma lo segue, lo rintraccia a fatica; ne scopre, inevitabilmente, lo sguardo diverso, fisso nel vuoto, trasfigurato dall’orrore. E' chiaro come la guerra gli sia entrata nella pelle, nell'animo.
“Eppure questa città dove si continua a morire sprigiona una forza nascosta, linfa che si leva dal folto di una foresta”.
“ll viaggio della speranza.… La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso”.
E’ proprio la speranza la cifra ultima che, dopo tanto orrore, consente alla protagonista di venire a patti con il passato, di capire non solo con la testa, ma visceralmente, che il filo con Diego non si è mai spezzato. Diego ha assistito alla guerra negli aspetti più crudi, ha cercato di colmare in qualche modo l’orrore che l’ha circondato e forse ne è stato travolto, ma non ha mai cessato di amare Gemma. Attraverso una lunga chiacchierata con Aska, altra figura centrale del romanzo, riemerge una verità celata per tanto tempo, sepolta sotto montagne di orrore. Pietro, quel figlio tanto desiderato, tanto cercato è “venuto al mondo” in una guerra, fra l’orrore e le macerie, ma è segno di una nuova luce, di una rivincita, di una fiducia fortissima nel futuro.
“Vorrei ringraziare qualcuno, qualcosa….l’infinito percorso di tutte le vite”
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