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“La memoria è calce sui marciapiedi di sangue”
Se vi sentite pronti per rimanere sconcertati, disgustati, delusi, tristi, allora potete buttarvi nella lettura di questo libro, e adesso vi spiego perché.
Il libro si apre su un vasto background storico: la Mazzantini parte dalla conquista italiana della Libia, nel 1911; e parla di un argomento poco conosciuto: i primi campi di concentramento creati dagli italiani in Libia.
Si passa al Fascismo, e alle emigrazioni italiane di massa verso Tripoli, nel 1938.
Si arriva poi al colpo di stato di Geddhafi e, quindi, alla cacciata degli italiani da Tripoli.
Infine, la ribellione: la Primavera Araba, con tutti i profughi che si sono lanciati verso l’Italia, e la conclusione che conosciamo: la morte del dittatore.
Su questi fatti storici sbocciano le due storie parallele narrate in questo libro: da una parte la storia di Jamila e di Farid, madre e figlio; che durante la Primavera Araba decidono di imbarcarsi per l’Italia e devono affrontare un deserto diverso da quello che conoscevano: il mare, un deserto quindi non più di sabbia ma di acqua, che può essere fatale.
Dall’altra parte invece la storia di Angelina e del figlio Vito.
I genitori di Angelina erano emigrati in Libia nel ’38, e lei si sentì araba fino all’età di undici anni, quando fu costretta, con la famiglia, a tornare in Italia.
È di Tripoli che Angelina avrà nostalgia per tutta la vita; per questo tenta di insegnare a Vito di trovare un luogo che gli possa appartenere per sempre.
Due madri, quindi, e due figli; distanti ma al contempo uniti nel tempo dalla Libia e dall’immigrazione.
Un mondo di guerra; terribile, squallido. Un mondo in cui i poveri sono poveri e basta, nessun riscatto; nessuna fortuna.
Le storie fanno venire i brividi, il libro è emozionante e al contempo crudele.
Inizialmente, lo stile della Mazzantini mi ha ricordato Baricco; poi però ho capito che lo stile è diverso: la Mazzantini plasma il suo su un linguaggio diretto, con frasi brevi e metafore e similitudini meravigliose.
Ne risulta un piccolo capolavoro, sia dal punto di vista storico, che narrativo ed emotivo.
Non mi aspettavo tutto questo. Sono rimasta con un nodo in gola alla fine della lettura; un nodo amaro che però è giusto sentire: non è altro che disgusto, verso la guerra, verso l’umanita assetata di potere e di sangue.
Alla fine del libro è inevitabile porsi una pungente e martellante domanda: ma cosa insegna la storia…?
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