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"Il dolore perfetto" di U. Riccarelli - Commento d
Il romanzo vincitore del Premio Strega 2004 narra una saga familiare che abbraccia un arco di tempo dalla fine dell’ottocento fino al secondo dopoguerra. La storia è quella di due famiglie che, a un certo punto, si incontrano grazie all’amore di due discendenti.
La prima famiglia ha come capostipite “il maestro”, emigrato da Sapri e giunto al Colle, paesino toscano, per esercitare la sua professione di docente elementare. La sua famiglia viene falcidiata da guerre e disgrazie. Unico superstite è Cafiero, detto Nocciolino perché miracolosamente sopravvissuto alla morte della madre, travolta dal treno, grazie a un “balzo fatto sul nocciolo”. Cafiero cresce con gli ideali della sua famiglia d’origine e s’innamora, ricambiato, di Annina, che invece proviene dalla famiglia Bertorelli. Una dinastia di commercianti di maiali, che recano nomi di eroi dell’antichità.
Sullo sfondo della saga i principali eventi dell’epoca: la costruzione della ferrovia, la guerra d’Africa, le bonifiche delle paludi toscane (e del Padule), le repressioni fasciste e i raid nazisti, la campagna di Russia, le persecuzioni delle minoranze e dei diversi, le rappresaglie.
Tutti questi eventi sono raccontati con il filo conduttore di un sentimento: “il dolore perfetto”.
Che sia quello del Maestro per “uomini schiavi di un lavoro il cui frutto non era loro, immersi nella produzione di un comune destino di fatica che gli parve un dolore enorme e perfetto.”
O quello della Rosa quando “per un istante pensò ancora al maiale scannato e provò pena, una pena immensa, quasi un dolore che in quel momento lunghissimo le parve un dolore perfetto”.
O quello dell’Annina che, quando percepisce la distanza sentimentale dei genitori sente “… una botta improvvisa, una crepa nel cuore. La ferita bruciante di un dolore perfetto.”
O quello di Mikhail, quando in collegio gli viene annunciata la morte del padre: “Sentì dentro di sé un’ondata di gelo, una mano alla gola … e un dolore assoluto, totale e perfetto lo colse e gli strappò il respiro.”
O quello di Bartolo all’Amba Alagi, mentre si avvia all’attacco: “Il dolore assoluto e perfetto di tutte quelle esistenze mandate al macello lo colpì in mezzo al petto, più a fondo di una lama, più forte del piombo.”
O quello della vedova Bartoli di fronte alla perdita dei figli: “Una pena totale si era impadronita di lei, le scendeva dal capo fino nello stomaco, la paralizzava e si spandeva in un dolore così profondo e perfetto da abbagliarla.”
O quello di Ideale per la sua decisione di prendere i voti, di fronte al gelo del padre: “Il peso … dell’indifferenza, il gelo delle notti del seminario … il dolore assoluto e perfetto che adesso stava tutto in una parola, pronunciata o negata di fronte al timore di Cafiero.”
E quello di Cafiero assalito dalla furia fascista: “Vide la sua infanzia, suo padre, il sogno che non s’era mai realizzato tramutato ora in un dolore perfetto, accecante.”
O quello di Natalia che negli occhi di Sole, fratello di Annina tornato dall’oriente per morire, vede quelli dei gemelli: “Sentì il morso del gelo diventare calore, e poi la fitta del piombo nel petto, e infine il calore trasformarsi in un dolore avvolgente, circolare, perfetto.”
Romanzo complesso, la cui lettura lascia il piacere non immediato e superficiale della cosa da consumare: verrebbe da dire, un piacere perfetto, esattamente come il dolore …
Bruno Elpis