Dettagli Recensione
"Viaggiare è come sognare" Edgar Allan Poe
Immaginate di salire su un treno, non su uno di quei mostri freddi e asettici che oggi attraversano le nostre città, ma di prendere posto a sedere su un antica carrozza, trainata dalla sua bella locomotiva, che con la ciminiera sulla cresta, sbuffa vapore e scivola sulla strada ferrata.
Nel vagone passeggeri, una donna, dalla pelle bianchissima, legge un libro preso a nolo nella stazione di partenza e con una mano sorregge la lampada ad illuminare la pagina aperta, qualcun altro invece è raggomitolato in un angolo e nel sonno si lascia dondolare.
Gli odori di valigia, dei guanti nuovi, del lucido degli stivali, del fresco delle sottovesti si mescolano al lamento del grande cavallo, che a piccoli spintoni, si lancia nella corsa.
Su una seduta in legno, fa da cuscino l'immagine litografata di una traballante diligenza postale e del campanile di un villaggio: lì la prima sosta.
Partirono in ventidue per la guerra, ma il treno sta riconsegnando a Quinnipak solo Mendel, splendido nella sua uniforme, mentre compone il lungo poema della morte che all'arrivo dovrà recitare alle vedove e alle madri dei caduti.
Era il XIX secolo, quando iniziarono a comparire i primi fasci di binari che andarono a costeggiare la terra bruna delle strade attraversate dai calessi. Zoccoli di cavalli e solchi di ruote disegnavano lastricati di fango, mentre a lato venivano eretti i grandi "monumenti alla modernità".
Diapositive di paesaggi vengono proiettate sul finestrino del treno, e i viaggiatori, spettatori immobili, le riassemblano in un insolito cortometraggio.
Una freccia sul bordo della strada indica la via per Quinnipak, ed ecco spuntare il campanile del villaggio che suona le ore, il calesse di Arold fermo sul ciglio del marciapiede, il bosco, il fiume, le betulle, la casa della stimata vedova Abegg e quella stanza in fondo al corridoio dove il signor Pekisch, con la sua camiciona da notte di lana grezza, strimpella un fortepiano Pleyel del 1808, sulla collina la villa dei signori Rail e poco distante la loro fabbrica in cui il vecchio Andersson sta mettendo a punto un sistema per realizzare grandi lastre in vetro. Un progetto che porterà il suo nome: "brevetto Andersson delle vetrerie Rail".
Il tagliacarte della signora Rail rompe lo spago che avvolge il solito pacco avviluppato da carta marrone. Al suo interno una carta bianca e una carta rosa nascondono una scatola viola dove è custodito un piccolo scrigno in panno verde e dentro quell'astuccio un gioiello ad annunciare il ritorno del signor Rail.
Nel salone i tre candelieri, le salviette ricamate, i piatti bordati in oro e la zuppiera fumante attendono l'arrivo del padrone di casa. Dann Rail, con il suo foulard rosso intorno al collo, non ha regali da donare a sua moglie, ne munifici contratti da mostrare al signor Andersson, varca la porta con una mano poggiata sulla spalla di un bambino che ha la pelle color sabbia. "Questo è mio figlio" il suo saluto.
Sulla strada principale due operai stanno smontando l'insegna dell'Emporio "Fergusson & Figli".
Betty Pun, una piacente signorina bionda, è la nuova proprietaria.
Dalla veranda della sua casa, Adelaide Fergusson per ben ventitre giorni vede l'amante del marito aprire quella bottega che per anni fu sua. Il cuore smette di battere.
Dopo la tumulazione della madre, i figli di Fergusson attendono l'imbrunire per entrare nella casa della bella Betty. A turno la violentano e poi le fracassano il cranio con il manico del fucile, lasciandola esanime in una pozza di sangue. Giustizia è stata fatta.
Pekisch, l'Archimede e il Mozart del villaggio, è disteso sul prato a versare litri e litri di parole in un tubo di stagno e dall'altro capo il giovane Pehnt, con la sua giacca da uomo addosso, che si presta a fargli da assistente. Progetto interessante quello dell'autoascultatore, ma qualcosa non ha funzionato. Poco male, perchè ogni venerdi Pekisch torna a suonare l'umanofono. Anche questa una sua invenzione, ma stavolta ben collaudata. Si tratta di un organo in cui al posto delle canne, ci sono i cittadini di Quinnipak. Ogni persona emette una nota e una sola: la sua personale.
Il maestro è alla tastiera, preme un tasto e con un gioco di corde viene strattonato il polso della signora Trepper. Quello è il segnale. Risuona un femminile la bemolle.
Pehnt annota sul suo quadernetto "le cose da sapere": Sesso. Prima togliersi gli stivali, dopo i pantaloni.
Una giacca decide il suo destino, la giacca che fu di suo padre, la giacca che lo avvolgeva quando venne abbandonato ai piedi della chiesa di Quinnipak. Il suo futuro è in città, in una bella casa, dono di nozze del suocero. Sul comodino,il manuale del perfetto assicuratore ha preso il posto del logoro taccuino.
Nella fornace che sfuma via le ceneri, la signora Rail, non indossa più il suo vestito giallo e con i capelli sciolti si muove sinuosa sul corpo nudo del giovane dalla pelle color sabbia...
Il treno prosegue la sua corsa, Quinnipak è lontana. Si intravede Londra, la Grand Entrance di Hyde Park.
Il principe Albert ha già indetto il concorso. Un immenso palazzo dovrà ospitare l'Esposizione Universale.
Tra gli olmi secolari del parco campeggia in bella vista il Crystal Palace, una gigantesca cattedrale in vetro e ferro.
Il progetto dell'architetto Hector Horeau è stato scartato, le lastre di vetro della fabbrica Rail non arriveranno mai nella capitale inglese.
Siamo già lontani. Con un gigantesco rogo se ne sta andando il Crystal Palace.
Prossima tappa Morivar, finalmente l'odore del mare.
"Signori si scende" urla sotto il finestrino il capitano Abegg. La donna, dalla pelle bianchissima, chiude il libro e torna ad avere paura. Ora non è più salva ma l'America non è così lontana...
Fotogrammi che si ripiegano nella memoria come le figure in rilievo nei libri per bambini ed un finale che riavvolge la pellicola
Indicazioni utili
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
grazie
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
forse proverò a rileggerlo!!!
complimenti Fabiana :-)))