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"Le dò 6" - "Che pa**e Prof!"
Allora, le cose sono due: o sono io che invecchio e quindi le storie d’amore degli adolescenti mi sembrano abbastanza imberbi, o è l’autrice di “Il mio inverno a Zerolandia” che ce la mette tutta, ma proprio tutta per farcelo apparire così. Che poi qui, questi due, i protagonisti, si mollano, si riprendono, si avvicinano, si allontanano, non si capiscono, proprio come piace a me insomma. Solo che niente, quella scintilla per me non è scattata.
La storia in sé non è male. C’è Alessandra, adolescente, che perde la mamma per una grave malattia. Il suo mondo crolla, si inabissa. Tornata a scuola dopo il lutto, decide di cambiare banco e va a sedersi nell’ultima fila, accanto al reietto assoluto della classe, Gabriele detto Zero, quello che non fa mai bene un’interrogazione, viene a scuola un po’ si e un po’ no, che porta vestiti da quattro soldi.
Il gesto di Alessandra è osservato dagli occhi increduli dei compagni, che si domandano cosa possa spingere qualcuno a sedersi lì nella terra desolata.
Lei lo ha fatto in un attimo di poca lucidità, per rompere con quel passato che ora sembra non appartenerle più, per dare un senso al dolore che riempie ogni momento, gesto, sguardo.
Laggiù, nella zona di confine, Zerolandia appunto, i due inevitabilmente finiscono per unire le loro solitudini, i loro silenzi, il loro senso di vuoto, in una strana, complicata, tortuosa storia di amore.
Il romanzo si divide in due diversi tipi di narrazione, da una parte scorrono i giorni, con le lezioni, la vita quotidiana, il progredire dei rapporti tra Zero e Alessandra. Dall’altra ci sono dei momenti di riflessione della protagonista, che ricorda, pensa e parla a sua madre.
Mentre i secondi riescono a far percepire l’intenzione, a trasmettere il dolore che si può provare nel perdere un genitore, la solitudine che ne consegue, i primi tendono a essere un po’ superficiali, vuoti, pieni di considerazioni un po’ banali, un po’ confusionarie.
Nella sempre mia buona predisposizione, credo che questo sia in parte volontà dell’autrice, che ci mostra la trasformazione, la maturazione di una ragazza, nei confronti di un avvenimento sconvolgente, il suo essere adulta nell’affrontare i ricordi, la sofferenza, la mancanza; dall’altra dato che sempre di un’adolescente stiamo parlando, ci viene mostrato l’altro suo mondo, quello dove ancora non sa muoversi bene, fa cose un po’ sciocche, commette errori (sempre forse come antidoto al dolore).
Un po’ per esperienza personale, direi che ci sta: si cresce o si invecchia di colpo per certe cose, si rimane totali immaturi per altre (anche mooolto dopo i 18 anni!!!).
Nel complesso mi è piaciuto via, ma non mi ha totalmente convinta. Spero di leggere presto qualcos’altro.
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