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Budda partenopeo
Si vede che Erri De Luca conosce ed ama dal profondo la sua Napoli, si vede dal tono orgoglioso con cui ne parla in questo romanzo.
Lo scrittore ricorda lo spirito indomito della città, che con un'insurrezione popolare riuscì a cacciare i nazisti prima dell'intervento degli americani, attraverso le parole del portinaio don Gaetano, concentrato di saggezza, specie di Budda partenopeo capace di leggere nel pensiero e di prevedere il futuro. Intense le righe che ne tratteggiano la figura: “Perciò sapeva i fatti di tutti quanti, perciò teneva una tristezza pronta al peggio e un mezzo sorriso per buttarla via. Ai lati degli occhi si aprivano le rughe e da lì scolava la malinconia”.
Sarà proprio don Gaetano, tra “pastepatate” che non hanno eguali, caffè e partite a scopa, ad accompagnare per mano il giovane protagonista nel suo passaggio all'età adulta.
E saranno i suoi racconti, “le storie della guerra che mi aprivano le orecchie e mi allargavano il cuore”, ad avvicinare il ragazzo alle sue radici, comunicandogli un senso di appartenenza alla città mai provato fino ad allora.
I passaggi concernenti le origini del “guaglio'” non convincono del tutto, sono un po' superficiali e non privi di qualche incongruenza, e i suoi sentimenti per Anna, donna del destino sognata fin dall'infanzia, non sembrano abbastanza profondi da suscitare la felicità di cui tanto si parla nel corso della narrazione.
Non ne risente comunque lo scopo principale del libro, che è quello di raccontare un pezzo di storia di Napoli e di uno dei suoi figli prediletti, la “roba buona” protetta dal sole che la città lascia andare dopo essere stata saggia maestra di vita.
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