Dettagli Recensione
Lo scurnuso di Benedetta Cibrario - Il commento di
Da Benedetta Cibrario, autrice di “Rossovermiglio” (premio Campiello 2008) e di “Sotto cieli noncuranti” (premio Rapallo Carige 2010), una bella fiaba neo-realista per riflettere sul valore dell’arte.
La parte prima è ambientata a Napoli intorno al 1792.
La parte seconda si sviluppa tra Napoli, Montecalvario e Chiaia nel periodo 1939-1943, in anni funestati dalla seconda guerra mondiale.
La parte terza si svolge ai giorni nostri: nella penisola sorrentina, estate del 2009.
L’autrice narra la storia di alcuni prodotti d’arte, creati dalle sapienti mani di un figuraro napoletano di grande talento. Queste creazioni sono il risultato di un’abilità che è sintesi di artigianato, inventiva e originalità sensitiva. Di questi manufatti sono romanzate sia l’origine, sia le successive vicende.
Lo scurnuso, in particolare, è la statuetta del presepe che raffigura uno storpio, vergognoso di come la malattia l'ha ridotto: ed è l’omaggio d’amore che il figlio adottivo rivolge al padre putativo, immortalando la sua condizione di disagio fisico in una rappresentazione espressiva di straordinaria efficacia plastica.
“Tommaso Iannacone, il miglior figuraro del vicolo, l’ultimo di una dinastia” “a differenza del padre, scultore e architetto scenografo, aveva solo doti di modellatore”. Il presepe “lui si limitava a modellarlo nella creta perché – a differenza di suo padre – sapeva copiare, non inventare.”
Non così il figlioccio Sebastiano, soprannominato Purtuale, che sin dai primi approcci al mestiere dimostra un originale spirito creativo.
“Purtuale era entrato nella vita di Tommaso Iannacone … una mattina di fine giugno del 1972.”
Tommaso ha già perso l’amata figlioletta per una malattia; a seguito di questa prematura scomparsa, la moglie è impazzita e fuggita. Sebastiano, orfano, rappresenta il risarcimento per un lavoro non pagato e giunge nella vita del figuraro quando questi è già afflitto da una malattia progressiva.
Tommaso, pur necessitando di assistenza, rinuncia alla compagnia del figlio per il suo bene, avendone intravisto l’inclinazione artistica, e lo accompagna a Capodimonte nel laboratorio di Gaspare Riccio, perché lì eserciti e affini la propria arte:
“In città si era sparsa la voce che nella bottega dei Riccio lavorava un figuraro di grande talento – un tipo strano …”
Nella seconda parte, le creazioni di Sebastiano vanno ad arricchire la collezione di un mecenate: “Da mezzo secolo il duca di Albaneta si faceva vanto di allestire il presepe più bello di Napoli.” E, nella collezione, c’è sempre quel pezzo, il migliore: “Io lo chiamo lo Scornuso. Vedete come vi guarda? Quello si vergogna di com’è diventato.”
Le opere passano di mano per un duplice atto d’amore del duca: assicurarle alla custodia del cardinale Belmonte – mentre è tempo di bombardamenti e di persecuzioni razziali – e finanziare la fuga negli Stati Uniti del figlio, con moglie ebrea e due pargoli.
Dopo un altro salto in avanti nel tempo, giungiamo ai giorni nostri. E’ l’estate del 2009 e lo Scurnuso finisce come dono d’amore di un padre a sua figlia ...
Il romanzo è dedicato ai nonni dell’autrice e “nasce dal ricordo che conservo di loro, dalla curiosità e dal rispetto che entrambi provavano per ogni forma d’arte, anche la più oscura, dalla loro felicità di essere nati napoletani.” Quindi è la pregevole attuazione di un’indicazione educativa sul valore universale dell’arte.
Quanto all’amore per Napoli, l’autrice fiorentina lo rappresenta con alcune pennellate: “Da lassù Napoli era luce tranquilla e scintillìo, era silenzio, seta di San Leucio, porcellana finissima, bagliori dorati, una città che fingeva di essere la promessa realizzata da una divinità arcaica …”
Un libro che non può mancare a chi ama l’arte, in ogni sua forma. Così è stato per i nonni dell’autrice, come per …
… Bruno Elpis
Indicazioni utili
Commenti
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |
Ordina
|
1 risultati - visualizzati 1 - 1 |