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IL CORAGGIO DELLA SCELTA
“Tanto va la gatta al lardo...”. Questa famosa massima popolare potrebbe benissimo aiutare ad interpretare, con il giusto pizzico di ironia, questo bel libro di massimo ulivari, autore ancora ignoto ai più ma non alla romanzistica italiana. Non è infatti un'opera prima, e si nota credo anche dall'abile penna dallo stile piuttosto originale e creativo, che lo fa assomigliare certe volte ad un nanni balestrini magari meno politicizzato e più intimista, ma altrettanto affascinante e capace di rapire l'attenzione e lo sguardo del lettore.
L'eroe, o forse sarebbe meglio dire l'“anti-eroe” alla carlotto e izzo (cioè con un “pathos” molto simile ma senza il “topos” del noir, e meno male!), è un uomo molto comune, almeno nelle abitudini e nella prassi. Ha una famiglia assolutamente normale, delle figlie anche molto normali (appannate dalle molte ore trascorse davanti alla televisione, come la maggior parte delle figlie e i figli di tutto il mondo, almeno quello occidentale), ha un lavoro come tutti e addirittura delle ambizioni, vorrebbe cioè diventare ingegnere. Proprio un normalissimo, metodicamente comune uomo dei nostri tempi e delle nostre latitudini. Tuttavia, ha qualcosa che lo rode, un tarlo che non lo lascia in pace e che non riesce a individuare bene nemmeno lui, una sorta di ansia di libertà molto vaga e non ben definita ma non per questo meno reale e urgente. Questa ansia lo porta continuamente, quasi suo malgrado, ad essere perennemente “in fuga” (da qui il titolo del romanzo), verso dove e cosa nessuno lo sa, meno che mai lui. Una fuga che si manifesta in vario modo, inizialmente con traiettorie impazzite che lo sparano verso l'amato nord europa, poi con una “fuga sul posto”, cioè in avventure letali che lo faranno uscire dalla routine e dall'insopportabile normalità del quotidiano pur restando nello stesso posto dove ha sempre abitato e dove ha costruito la sua vita da bravo piccolo borghese, quella che proprio non riesce a digerire e dalla quale - è più forte di lui – cerca continuamente di evadere.
La cosa interessante della psicologia del personaggio è che in qualche modo – da vero autentico piccolo borghese, impantanato nei dubbi e nelle incertezze che lo arrovellano – non riesce mai a prendere decisioni “forti” e in qualche modo risolutive che lo “liberino” veramente, ma sceglie piuttosto, consapevolmente o meno, di tenere i piedi su due staffe. Il “rimosso” della sua esistenza – il bisogno di libertà, la voglia di cambiare pelle e vita – evidentemente a suo tempo (il momento del matrimonio? Della nascita delle figlie? Della scelta del lavoro?) espulso dalla porta in favore di una vita con le pantofole e con le “sicurezze” borghesi che, almeno una volta, garantivano quanto meno una vecchiaia precoce quanto certa, rientra dalla finestra in modo perverso, e la conclusione è lo sbarellamento permanente del nostro anti-eroe (del quale detto per inciso non viene mai menzionato il nome). Istanze mai interamente sopprimibili (la bellezza, l'“inutile”, l'“invisibile”, come le stelle viste dal finestrino dell'auto in stato di ebrezza) una volta scacciate a forza per far posto ad un'esistenza coatta regolata secondo le esigenze di una società che tutto deve incasellare e disporre, così che tutto torni e tutto sia sotto controllo, ritornano in modo esplosivo e insieme sornione, e il risultato è devastante. Questa potrebbe essere, volendo forzare un po' l'interpretazione, un'abile metafora per raccontare qualcosa sul nostro attuale destino, quello degli uomini del XXI secolo prede di un potere onnipervasivo che richiede tutti noi stessi, che ha bisogno di succhiare fino all'ultima stilla del nostro sangue e della nostra anima e che non deve lasciare spiragli aperti, pena la “fuga”, per l'appunto, verso la libertà, o almeno “una” libertà.
Ma questo passaggio richiede una consapevolezza e un coraggio che non appartiene al nostro “anti-eroe”, perché lui è uno di noi, è come me e voi, e di fronte a cotanto abisso si spaventa e non sa più neanche lui come comportarsi. Ha una sua morale, incerta e inferma, ma tale che gli impedisce di dare retta all'amico Gino (“fai come gli altri”, cioè tradisci tua moglie senza fargli sapere nulla) oppure allo psichiatra-amico quando gli dice che quell'ultima fuga fra le cosce di una ragazzina è una cosa folle e sbagliata. Tuttavia, non ha il coraggio da “pelo verde”, e finisce per aggrovigliarsi su se stesso, in un vortice che lo porterà, ahinoi, lontano dall'amata e cercata “libertà”.
Un libro insomma che si legge tutto d'un fiato, scritto ottimamente e per certi versi “educativo”, nella misura in cui rappresenta un'occasione di riflessione sulla situazione esistenziale di molti di noi, di quell'umanità “messa in produzione” che deve rispettare tempi luoghi abitudini orari modi e compagnia cantante, che deve cioè voltare il meno possibile lo sguardo verso l'“altra parte” della luna, quella luna che, richiamando il poeta, anche il nostro anti-eroe all'ultimo tuffo non può fare a meno di rammemorare con dolcezza e nostalgia.