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Un personaggio straordinario
“Anselmo Bordigoni pesava centoquaranta chili e la sua altezza era di metri uno e novantotto. La vita sedentaria aveva favorito la crescita del suo ventre, il cui asse antero-posteriore era di settanta centimetri, in rapporto proporzionale col peso…. Scalinate di carne, sacche di grasso d’incalcolabile consistenza, cordonate di lardo e spessore incredibile di cotiche, materializzavano in lui una forma che troppo facilmente poteva definirsi mostruosa, e aveva invece una sua armonia di rapporti tra misura e misura, e come si è visto, tra misura e peso. Nel luogo dove capitò a vivere egli era, positivamente, il più grande e grosso uomo che si fosse mai visto.”
Questa è una parte della descrizione che Piero Chiara fa del protagonista di Il balordo, il suo terzo romanzo dopo Il piatto piange e La spartizione. E’ indubbiamente un personaggio eccezionale e non solo per la sua mole, perché, additato di volta in volta come omosessuale, antifascista, debole di mente, musicofilo e concertista di grande fama, è invece un uomo che più che vivere, si lascia vivere, senza apparenti desideri, senza memoria del passato, completammente soddisfatto della sua innata passione per la musica, alternata con lunghe sedute in riva al lago o ai fiumi, cercando di far abboccare qualche pesciolino.
Una vita anonima e silenziosa, la sua, in evidente contrasto con la sua dimensione, che da sola basta a farlo notare.
Si potrebbe anche dire che conduce un’esistenza chiuso in se stesso, indifferente al mondo che lo circonda, in un atteggiamento tipico del diverso o comunque del disadattato.
Addirittura potrebbe essere scambiato per lo scemo del paese, con quel suo mutismo ostinato che avvolge di ulteriore mistero la sua persona.
Ma se lo scemo del paese viene tollerato e finisce con il diventare quasi un’istituzione, perché c’è senza esserci, perché in lui normalmente non c’è un talento che supplisca alla sua disgrazia e che lo elevi dal suo grigiore, in Anselmo Bordigoni è presente una grazia divina, una capacità di accostarsi alla musica, di interpretarla, di suonare diversi strumenti come ben pochi sanno fare. E’ un piacere ascoltare il suono del suo pianoforte, è una melodia che scende dell’anima, ma inevitabilmente questo riscatto della sua volontaria astrazione dal mondo urta la sensibilità di chi, attivo e presente in società, non ha nulla da contrapporre a questa qualità così eccelsa. Uno comincia a mormorare, a inventare fatti inesistenti, e in una piccola realtà la voce corre, si propaga, si amplifica, fino a diventare una verità.
Accusato di comportamento sconveniente sarà inviato al confino, in un altro piccolo paese del meridione, chiuso, ma disponibile ad accogliere, senza riserve, questo omone che trascorre lunghe giornate seduto sotto un albero gigantesco e secolare, chiamato nella tradizione popolare Il Buon Cazzone. Ed è tanta la simbiosi con la pianta che anche Anselmo Bordigoni, il Bordiga, ne assumerà il soprannome.
Rientrato al paese lacustre, dopo il secondo conflitto mondiale, in cui saprà farsi valere con la sua musica, tanto da essere arruolato nell’esercito americano come direttore di banda, non verrà riconosciuto dapprima da chi pur aveva a lungo vissuto vicino a lui. Scambiato per un maggiore dell’esercito alleato, dimenticata da tutti l’accusa infamante che l’aveva mandato al confino, anzi nella convinzione che questo suo soggiorno obbligato fosse dovuto a un’attività antifascista, in un quadro generale che vede le autorità del paese latitanti per il loro trascorso attivo nel regime, sarà proclamato sindaco a furor di popolo. E mai simile incarico verrà svolto così bene, con l’introduzione di una democrazia diretta accettata da tutti, in quanto partecipi delle decisioni.
Durante questo incarico verrà a mancare (le pagine della sua morte sono di grande bellezza) e umile come era sempre stato chiederà solo di essere sepolto lungo il muro di cinta del cimitero, con una piccola lapide con su scritto solo Qui riposa Il Buon Cazzone.
I tempi, tuttavia, dopo la sua morte cambieranno rapidamente, vi sarà un ritorno ai preconcetti del passato, una silenziosa restaurazione che provvederà a far cancellare dall’iscrizione “Il Buon Cazzone” e così ci si è dimenticherà di lui, di una presenza tanto ingombrante quanto esaltante.
Piero Chiara ha scritto un romanzo che è semplicemente stupendo, forse sotto l’influsso del Candido di Voltaire, un candido nazionale, paesano, un personaggio indimenticabile così come tracciato dall’autore, che rivela in quest’opera anche un rilevante talento poetico. Al riguardo bastano le poche righe che seguono per dimostrare questa sua capacità:
“Finì l’anno scolastico e con l’estate ricominciò a funzionare l’orchestra. Nelle notti stellate le due motociclette canterellavano per le strade delle valli; e appena arrivati loro dentro i saloni a finestre spalancate delle trattorie tacevano i grilli e incominciavano i tonfi della grancassa, le cascatelle del pianoforte, i singulti del sassofono e le sviolinate del Ginetta. Il pubblico era sempre lo stesso, con l’intrusione di qualche villeggiante milanese.”
E io che pensavo di aver letto tutto di Chiara, tranne Il balordo, forse per il titolo che non mi attraeva, ora sono contento di parlarne, perché per ultimo mi sono riservato il suo romanzo più bello, che non esito a definire un capolavoro per il tema trattato, per come è stato svolto, per la grande maestria con cui, più volte, si è indotti al riso e contemporaneamente al pianto, come appunto nelle pagine della morte di Anselmo Bordiga.
Il balordo è un’opera imperdibile.