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Il Talento di Murgia
La prima difficoltà in cui mi sono imbattuta iniziando a leggere questo libro è stato il titolo. Non c’era verso di ficcarmelo in testa.
Cosa stai leggendo? Abbacadora… Acabbadora… insomma, quello lì della Murgia.
Eppure l’avevo scorto dalla quarta di copertina che in spagnolo “acabar” significa finire e che in sardo “accabadora “ è colei che finisce. E come il titolo, in partenza, mi ci è voluto un discreto tempo di pagine per intrufolarmi nel linguaggio. In questo linguaggio nudo e crudo che non è prettamente sardo ma che cammuffa il sardo con un buon italiano in grado di richiamare luoghi e credenze, persone e vicende. Lo stile poi è di quelli che mi catturano: svelto, scorrevole, con delle descrizioni che mi piace chiamare “sul momento”, ovvero schizzi veloci e precisi come di un pittore che ha voluto fermare un particolare in un paesaggio; e soprattutto i dialoghi sono della lingua parlata, senza abbellimenti né ammanchi a quanto i personaggi hanno detto o avrebbero voluto dire.
Un mondo intero che prende forma sin dalla prime battute; e non è certo facile metterlo su; specie quando il senso di questo mondo, tutto racchiuso in una minuscola comunità sarda degli anni cinquanta, andrà a parare su uno dei temi più dibattuti degli ultimi decenni: la fine intenzionale della vita quando questa non ha più modo né possibilità d’essere vissuta.
Non ci sono volontà eticamente dottrinali nell’autrice, né tantomeno l'intento ipocritamente morale di prendere una posizione: ci sono solo queste due figure femminili incastrate in una ferrea realtà di usi e costumi, dove tutto ciò che è pratica culturalmente accettata è vita comune.
Maria rinasce così una seconda volta, senza trauma alcuno per essere stata strappata alla famiglia d'origine, quando Bonaria Urrai decide di prenderla come figlia d'anima; e rinasce una terza volta quando, in giovane età, prova a ricrearSi nel lontano continente per sfuggire a quella madre adottiva che le ha riconsegnato una vita ma che sa anche accompagnare la morte.
Non c'è soluzione, tuttavia, per fuggire da se stessi: e ciascuno si ritrova in un circolo continuo di amore dato e preso, di vita e, innegabilmente, di morte. Una morte che, a volte, necessita anche di un gesto pietoso d'amore.
I miei complimenti più appassionati vanno a questa autrice: per il modo intenso ed autentico attraverso cui ha saputo porgere la sua meravigliosa terra; per il coraggio nell'affrontare una tematica così delicata e controversa raccontando semplicemente la realtà di un tempo e di un luogo neppure troppo lontani; per il talento indiscutibile nel mettere tra le mani del lettore pagine in grado di prendere forma in base ai movimenti suscitati nell'animo di ciascuno.
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Commenti
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:-)
Bella rece Eva .
Amy, Raoul, quindi l'vavete letto pure voi?? :))...mmmhhh sarei curiosa di chiedervi un parere sulla parentesi torinese, che per me ha avuto grande senso mentre ho letto in altri commenti che è stata un pò interpretata come una devizione inutile...
Raoul, in tutta sincerità non mi è stato semplice parlare di questo libro :))... quasi quasi la pigrizia prendeva pure me, hai tutta la mia comprensione! ;)
Seppure sembra che ti riesca così semplice quello che scrivi.. mi sa che siamo ancora d'accordo: la pigrizia è spesso una forma di salvezza! ;;-))
Così forte quel rapporto che si crea, eppure così delicato... E vi è anche il dono innato dell'amore: quello di far schiudere le persone, di riportarle a loro stesse, alle loro origini, alla loro essenza... Maria si abbandona al sentimento puro nei confronti di quel ragazzo ritornato finalmente alla vita, e si dimentica così di difendersi da se stessa, consentendo il riafforare dei ricordi e di tutto ciò che aveva creduto di potersi lasciare alle spalle... Mi sono emozionata moltissimo!...non so descrivere quanto... Grazie per aver condiviso! :)
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