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Un mondo di sconfitti
Nella solitudine di una stanza, tra le mani il libro di Ammaniti, avverti intorno a te la presenza di Rino e Cristiano Zena, vedi i muscoli tatuati dell’uno ed i capelli crespi dell’altro, senti Quattro Formaggi parlare a scatti e nell’aria l’odore dell’ultimo goccio di grappa appena trangugiato da Danilo Aprea. Sono tutti là, non ti lasciano neanche quando chiudi il libro e ti appresti a trascorrere la tua serata in compagnia.
Creature che si materializzano nella tua mente, nella tua stanza e non vanno via neanche cacciandole in malo modo. Ti rimangono dentro per la loro tristezza, per la loro grande, infinita debolezza celata nelle esplosioni di rabbia di Rino, nei silenzi sofferti di Cristiano, nell’ingenua follia di Quattro Formaggi, nell’ansia di riscatto di Danilo.
Personaggi sconfitti in partenza dalla vita, che se la vita non ha ancora abbattuto totalmente, ci pensano loro a fare il resto. Un senso di impotenza, di ineluttabilità ti accompagna per tutta la lettura e non c’è spazio per la speranza, neanche dopo la parola Fine.
In nessun modo le loro vite deviate possono ritrovarsi sul sentiero della ricerca della felicità, perché è una strada, una possibilità, loro bandita. Nemmeno l’amore, in tutte le sue forme (padre-figlio, verso una donna, verso un amico) si rivela condizione sufficiente per la salvezza.
Non è solo inettitudine, per quanto il romanzo ci regali esempi di mediocrità umana perfettamente riusciti, come Beppe Trecca. Forse è inadeguatezza, incapacità di adattarsi, aggravate da una forza sovrannaturale e beffarda che pilota le vicende, il destino.
Ammaniti riesce ad insinuare un senso di irreversibile angoscia anche nel lettore più spensierato, lasciandogli in bocca e nell’animo un’amarezza sapientemente acuita da una scelta di brani musicali a scandire le vicende, colonna sonora egregiamente orchestrata dallo scrittore.