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Lui, lei e l’altro
- La signora lo aspettava sulla porta e lo tirava dentro come un sorso d’acqua. “Mia polpa, mia massima polpa” esclamava il Vanghetta abbracciandola appena dentro la porta e guidandola verso un divano senza sponde, che era l’unico supporto sul quale gli fosse possibile goderla, se non tutta, almeno in gran parte. -
Di Boccaccio e del Decameron c’è ampio spirito in questo romanzo breve di Piero Chiara, tanto che l’inizio è un’epigrafe della quinta novella della giornata ottava (io vi voglio mostrare il più nuovo squasimodeo che voi vedeste mai). E come lo squasimodeo del grande autore medievale esercita l’attività giudiziaria, anche in questo romanzo il più attuale squasimodeo, tale dottor Augusto Vanghetta, professa l’attività di pretore in Cuvio durante il ventennio e in particolare negli anni Trenta.
Uomo non certo di bell’aspetto (alto poco più d’un metro e mezzo, curvo e quasi gobbo, già grasso e occhialuto a vent’anni e simile a un coleottero o a uno scarabeo stercorario per la sua tendenza a cacciarsi nel sudicio…) è di mediocri capacità professionali, di scarsa intelligenza, ma dotato di un’astuzia da faina e amante anche del protagonismo, alla ricerca di una posizione di prestigio che faccia da contraltare alla sua pochezza. Bugiardo, amante della vacuità, è in preda a un continuo e forsennato desiderio sessuale, un’insaziabile satiriasi che lo porta ad accompagnarsi con qualsiasi tipo e genere di donna, dalla nana alla femmina fatale, dalla prostituta delle case chiuse alle clienti che ha occasione di conoscere nel corso della sua attività.
Non è difficile riscontrare più di un’analogia con un personaggio politico attuale, che Chiara, quando scrisse questo testo, non poteva però aver conosciuto, e quindi è sorprendente sapere che, con la sua fantasia, ha dato corpo a qualcuno che si sarebbe manifestato molti anni dopo.
Augusto Vanghetta è coniugato con un’orfana, moglie ideale, in quanto integerrima e in possesso di notevoli disponibilità, il che gli ha consentito di cogliere due piccioni con una fava: il matrimonio indispensabile per una parvenza di normalità e il denaro, sempre più occorrente per dare sfogo ai suoi capricci.
La moglie, poveretta, soffre della sua condizione di oggetto di rappresentanza e già di debole costituzione si ammala, dimagrendo a vista d’occhio. Del resto, che vita può essere la sua, consapevole, grazie anche al giro di conoscenze della piccola entità locale, dei continui e ripetuti tradimenti del marito? Da essere umano diventa poco a poco un vegetale, rinchiusa in se stessa di fronte non solo all’ostentata indifferenza del marito, ma anche nell’impossibilità di condurre una vita familiare almeno in apparenza normale.
Non brutta, anzi graziosa, nonostante la sua magrezza, sente la vita sfuggirle e ormai dispera, fino a quando non incontra un aiutante del marito, un giovane avvocato, solerte, bravo, ma che nella mentalità di Vanghetta non è un uomo, perché non va a caccia di donne.
Senza sospetti il pretore lo introduce in casa sua, dando vita piano piano a una coabitazione che finirà con l’emarginarlo.
Non vado oltre, perché le sorprese non mancheranno e con un epilogo che è da manuale.
La scrittura di Chiara è fluente, ammaliatrice, continuamente piena di sorprese e di invenzioni, come nel caso della rappresentazione teatrale travolta, e non in senso figurato, dall’improvvisa piena di un fiume; e si ride, volentieri, anche se è sempre presente una nota malinconica sul destino degli uomini, grandi, normali o mediocri che siano: come formiche lottano sul palcoscenico della vita per arrivare tutti a quell’ultimo traguardo, un’esistenza di passioni, di delusioni, di vittorie, ma più ancora di sconfitte, di cui l’ultima è l’inevitabile conclusione di quella battaglia subito avviata non appena venuti alla luce.
Il pretore di Cuvio è un romanzo indubbiamente assai bello, da leggere non solo per sorridere, ma anche per meditare.