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E le stelle stanno a guardare?
Riporto dalla quarta di copertina: “Clara è abbandonata dal marito dopo un matrimonio trentennale. Nella tempesta del dolore e dei ricordi, tenta di rileggere il passato e di capire quale sia il cammino da imboccare, per uscire dall'oscurità che la sconvolge” Ma più che abbandonata direi lasciata dal marito, cosa ben diversa. Certo, si tratta sempre di distacco, solo un po’ meno tragico.
Questo evento la riporta indietro nel tempo e ripercorre il cammino all’inverso, per capire come potere proseguire. La struttura del romanzo è affidata a un io narrante, che ci racconta, a volte al passato a volte al presente, gli eventi che si sono susseguiti dalla fanciullezza all’età matura. La scelta dell’io narrante, se di primo acchitto può sembrare facile perché la narrazione è lineare, si rivela uno stile narrativo difficile, perché l’autore deve portare il lettore al suo livello di conoscenza, dare spessore ai personaggi e agli eventi. Incorrere nell’errore è facile, come succede nel “Cammino delle stelle”, romanzo di esordio di Emilia Vigliar.
Infatti quello che andiamo leggendo è una sorta di diario, forse troppo piatto, schematico, stereotipato. La protagonista, Clara, ci racconta la sua vita, ma senza sbalzi, nessuna emozione, niente che ci faccia fremere durante la lettura. I personaggi sono poco connotati, sia fisicamente, che psicologicamente. Come sarà Clara, di cui apprendiamo il nome solo dopo parecchie pagine, perché il papà le scrive un biglietto (!)? Sarà bella, bionda, alta, bassa, e ancora sarà apprensiva, nervosa, entusiasta della vita. E Francesco, il marito fedifrago? Certo, non conta l’aspetto esteriore, ma una connotazione, un accenno, un suggerimento bisogna pur darlo, per aiutare il lettore a farsi un’idea e a partecipare alla lettura. Non vengono lesinati particolari, anche minuziosi, sulla vita della protagonista, ma che non arricchiscono la narrazione. Il libro è diviso in tre parti, che dovrebbero simboleggiare le tre diverse età, fanciullezza, giovinezza, maturità e sono connotate con il nome di costellazioni: Berenice, Cassiopea e Antares. A parte un piccola frase sull’imperscrutabilità del cosmo, non sono riuscita a capire la scelta. Cosa hanno in comune le tre costellazioni? Si avvicinano e si allontanano l’una dall’altra? Hanno un cammino comune? Non credo, ma azzardo un’ipotesi. Berenice, dalla bella chioma che finisce in cielo, presente soprattutto durante l’equinozio di primavera, Cassiopea, la bella, condannata per la sua vanità a girare eternamente intorno al corpo celeste a volte addirittura a testa sotto e visibile in estate, e Antares, la rossa e luminosa, rappresentano rispettivamente le tre età della vita: fanciullezza, giovinezza e adolescenza? Non so, però sono certa che le stelle stanno a guardare!