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Il postulante
Come affrontare una vita che già dall’adolescenza si presenta in salita?
Come difendere se stessi ed i propri desideri in un mondo che ti marchia fin dai primi anni come diverso?
Fabio si trova a cercare risposta a questi interrogativi quando gli amici lo isolano a causa di alcuni atteggiamenti omosessuali, costringendolo a prendere coscienza che i teneri (ed ancora innocenti) abbracci con l’amico del cuore non rientrano in ciò che gli altri ritengono “normale”.
Si isola, cerca consolazione e pace interiore e la trova in una chiesa e in un prete che lo accetta senza giudicarlo e lo accompagna verso la determinazione di abbracciare la chiesa come professione di vita.
Pur fra tanti ed importanti dubbi sulla genuinità della propria “chiamata”, Fabio decide di entrare come postulante in un convento di frati e… da qui comincia il romanzo che, scritto con un linguaggio semplice e non elaborato, ben corrispondente alla psicologia dei personaggi, risulta una lettura gradevole e veloce.
I dubbi ed i sensi di colpa per le proprie tendenze non abbandoneranno Fabio in virtù della mistica della vita conventuale e lo trascineranno, alla fine, a dover fare i conti con se stesso, senza infingimenti e senza cercare scorciatoie, prendendo consapevolezza del proprio posto nel mondo.
La storia si presta ad approfondire il tema dell’omosessualità, della vocazione religiosa e della vita conventuale in relazione alla castità dei pensieri e degli atti.
La circostanza che Fabio in tale contesto incontri un sentimento ricambiato dovrebbe ancor più provocare approfondimento sullo strazio di un’anima che si dibatte fra la vocazione e il desiderio di lasciarsi andare a cedere al sentimento e al richiamo dei sensi.
Penso a come avrebbero potuto affrontare un simile tema Thomas Mann o Fedor Dostoevskij.
Bene, non si può chiedere tanto e non è corretto porre un simile paragone, me ne rendo conto, ma trovo che il problema dell’omosessualità venga affrontato dall’autore in modo forse un po’ superficiale: non c’è un solo momento nel romanzo (eccettuati gli adolescenti amici di Fabio nelle prime pagine) in cui venga condannata ed esecrata come invece accade di frequente nel mondo reale. Anzi, per tutto il libro viene considerata una realtà universalmente accettata, anche se condannata dalle leggi ecclesiastiche: personalmente posso essere daccordo con questo giudizio, ma mi sembra inconsueto non incontrare per centocinquanta pagine (neppure all’interno di una realtà legata alle regole religiose) qualcuno che scagli anatemi nei confronti del peccato contro natura per eccellenza, come invece, ancora oggi, accade normalmente intorno a noi.
In conseguenza di questo, forse, l’autore non si applica ad approfondire la psicologia dei personaggi, che risultano un po’ piatti e poco delineati nei sentimenti e nelle inevitabili sofferenze.
Non voglio svelare il finale, ma non posso nascondere che mi ha lasciato insoddisfatta: sembra che l’autore abbia preferito non prendere posizione lasciando al lettore la responsabilità di concludere il racconto.
La parte migliore, a mio avviso, è racchiusa nel colloquio che, verso la fine, Fabio ha con il padre eremita: in poche pagine affiorano i temi profondi ed irrisolti del cristianesimo ed i fondamenti della fede, laddove si accenna al tema cruciale della divinità di Gesù:
“Io non rifiuto l’immagine che la Chiesa dà di Gesù, anche se appare tanto lontana da quella del Cristo storico. Rifiuto che essa la imponga come l’unica possibile: Cristo era e si sentiva ebreo, credeva nel Dio degli ebrei, era solo al popolo eletto che annunciava la venuta del Regno, eppure la Chiesa di questo Cristo ebreo non parla […]. Aspetto il giorno in cui prevarrà nella fede di tutti i cristiani lo stupore per quella meravigliosa manifestazione del divino che Cristo è stato e che ha sconvolto chi lo ha conosciuto.”
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l'ho letto e recensito anch'io e appoggio le tue valutazioni.