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Un romanzo stanco e privo di mordente
Apprezzo molto Carofiglio come scrittore, anche se non ritengo questo il suo migliore romanzo. Mi piacciono di più le sue indagini poliziesche e le sue riflessioni sulla attività di giudice e avvocato. In questo romanzo aleggia un’atmosfera quasi rassegnata, stanca, priva di mordente. La vicenda narrata sembra un “déja vu”, con fasi ripetitive e personaggi abbastanza banali, senza quell’introspezione vera e profonda alla quale lo scrittore ci aveva abituati Non dirò che è un romanzo “esangue e tedioso” come lo definisce il critico letterario Antonio D’Orrico sul supplemento “La Lettura” del Corriere della Sera (20.11.2011), ma certamente l’opera è percorsa da una vena sottilmente stanca, monotona, senza vibrazioni che trascendano i comuni accadimenti della vita. Un carabiniere, il protagonista, distrutto da una vita sempre sotto copertura (e sotto stress), uno psicologo banalmente curioso e appiattito sul tran tran giornaliero della sua professione di strizzacervelli, una signora anche lei bisognosa di cure e attenzioni per sensi di colpa mai guariti, un bambino sognatore (forse la figura meglio riuscita) che costringerà il protagonista a ricollocarsi nel suo giusto ruolo ed a riapprezzare la serena gioia di una vita finalmente normale. Questi i personaggi, ben delineati in una storia credibile ma senza guizzi autentici. Potrebbe essere un romanzo “ da camera”, da leggere in autunno vicino al crepitio della legna nel camino, avvolti in una calda coperta di lana, seduti su una comoda poltrona, a meditare, come il protagonista mentre si ritempra nel finale del romanzo scivolando sulle onde con la tavola da surf, su “…il bene e il male, e l’amore e il dolore e la gioia e la colpa…e il perdono…e il cerchio della vita, e le storie dei padri e dei figli, e della loro disperata ricerca gli uni degli altri”.
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