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Razza Impura
Franco Cilli, il “Dottore”, è uno psichiatra che lavora nel paese di Penne, uno come tanti in Italia. La visita di una paziente molto particolare, in quanto moglie di un rappresentante del governo italiano, lo trasformerà in pedina di un pericoloso gioco internazionale. Il Dottore dovrà fare i conti col proprio passato, in forte contrasto con la serena e civile vita da psichiatra al servizio dei cittadini, sarà quindi coinvolto in un grande complotto mondiale che lui stesso tenterà di scongiurare con l’aiuto del suo vecchio amico Domenico D’Amico (mezzo macchina mezzo orco), di Marina, sua paziente estremamente autolesionista, una sua figlia spagnola, Estela, e infine con l’inaspettato sostegno del commissario Tano Pepe. I protagonisti della narrazione, per lo più tutti professionisti nelle arti marziali e imbattibili nello scontro corpo a corpo, visiteranno diversi paesi, dall’Italia a Cuba, dalla Svezia agli Stati Uniti, andando ad incontrare personaggi realmente noti in campo internazionale e scienziati pazzoidi appartenenti alla finzione. La minaccia che aleggia sulla Terra prevede anche la sostituzione dell’uomo con una nuova specie, per l’appunto una razza impura: riusciranno i nostri eroi a sventare anche questa minaccia?
Cilli e D’Amico, autori e protagonisti del romanzo, si son divertiti nel costruire un romanzo intorno alle proprie persone, realizzandone una forte caricatura e facendole vivere in uno scenario mondiale pre-apocalittico dove attentati terroristici e complotti segreti sono all’ordine del giorno, tutti manovrati da pochi potenti che congiurano dietro le quinte. I fini e le intenzioni dei politici italiani, riconoscibili nonostante gli pseudonimi usati, rientrano nel grande complotto, nel quale si inseriscono attraverso l’uso accorto degli autori di presunte accuse e taciute verità che da decenni gli si riferiscono: pensiamo al ruolo controverso del premier “Bengodi” e del suo amico-nemico “Dalmanera”.
“Tutto questo è ridicolo, siamo davvero un’armata Brancaleone” […] “Vabbè che stiamo vivendo in un thriller politico incoerente e sgangherato, pieno di coincidenze al limite del ridicolo..”. Queste battute auto-canzonatorie che troviamo all’interno del libro, ahimè, vanno a riflettere la stessa impressione che il romanzo ha suscitato in me. Penso che l’idea di fondo del grande complotto sia buona per sviluppare le trame di una storia, tuttavia si è rivelata una carta giocata male, malissimo. I protagonisti sembrano la trasmutazione su carta di uno Steven Seagal (questa volta non a stelle e strisce ma falce e martello) accompagnato dal grande amico Chuck Norris, entrambi imbattibili, fortissimi e resistenti anche alle pallottole, nel completare l’armata Brancaleone, ad essere cattivi, possiamo aggiungere Bruce Lee nelle vesti di un commissario e Xena nelle vesti di una figlia dimenticata. L’intero gruppo si ritrova, guidato dal Dottore alias F. Cilli alias Steven Seagal, sballottato a destra e a manca in un contesto internazionale, ritrovandosi in situazioni assolutamente improbabili, sconnesse tra di loro, per un progresso della vicenda del tutto innaturale. Tutti seguono il Dottore, vero Leader, la sua innata sete di giustizia, verità, e la sua fame di vendetta. Probabilmente, l’usare se stessi come protagonisti del proprio romanzo è stata una scelta quanto mai sbagliata poiché ha portato a un eccessiva esaltazione dei soggetti principali, troppo irreali tanto che l’immedesimazione è impossibile.
Altro punto a sfavore è l’organizzazione in seno al libro, ovvero l’organizzazione dei paragrafi. All’interno dei capitoli troviamo delle sezioni, finali o iniziali che siano, che sono come delle visioni di quello che verrà o potrà avvenire, o di quello che in parte sta già accadendo a causa del grande complotto e che, nella narrazione inerente al Dottor Cilli, fin ora è stata appena accennato. L’effetto percepito è quello di un eccesso di confusione: i vari paragrafi sono diversi l’uno dall’altro per tutto il libro, non seguono un proprio filo logico, sono dei grandi flash che soltanto una volta giunto alla fine riesci con difficoltà a collocare, ma che per il resto non fanno altro che appesantire la lettura.
L’ultimo piccolo appunto riguarda le analogie con i politici italiani, la loro individuazione dietro gli pseudonimi sarebbe potuta essere un artificio interessante, divertente, se però fosse stato utilizzato meglio. Invece vediamo concentrati nello spazio di cinque righe una valanga di riferimenti messi a forza l’uno dietro l’altro.. peccato.
Insomma nel complesso, a parer mio, questa “favola massimalista” non funziona.
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