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"Uto" di Andrea De Carlo - Il commento di Bruno El
Il ventenne Uto giunge a Peaceville, Connecticut.
Peaceville è “il regno della dolcezza e della tolleranza”, un luogo ove si è insediata una comunità che pratica la filantropia sotto l’egida di un capo spirituale: un guru tanto attivo nella propria funzione carismatica, quanto fisicamente precario.
Manco a dirlo, la vicenda si svolge interamente in un paesaggio innevato, che tramortisce il lettore di pari passo con la narrativa sperimentale di De Carlo.
Uto è “una specie di punk psicopatico”, reduce da una tragedia familiare, ed é sicuramente alla ricerca di una sua identità: con il dubbio di essere soltanto un distruttore di equilibri, con l’implicito desiderio di essere un rivelatore di verità. Viene accolto dalla famiglia Foletti e si insinua nella vita dei quattro componenti stravolgendo completamente l’equilibrio di un nucleo che, sino ad allora, ha vissuto nell’ovatta dello spiritualismo imposto da Marianne.
Vittorio è il solido capofamiglia: un vero Timberland, vigoroso, pragmatico, ex gaudente che per amore della moglie Marianne ha lasciato la vita mondana e godereccia per abbracciare la filosofia vegana e spirituale. Nina è la figlia anoressica di Vittorio, Jeff-Giuseppe il figlio quindicenne di Marianne che, senza una propria personalità, vive con passiva accettazione, acriticamente, tutto ciò che gli viene proposto.
Uto, pianista istintivo e cervellotico osservatore, mascherato nei suoi abiti in pelle e nascosto dietro a occhiali neri, aggredisce ciascun personaggio e ne sovverte la vita, portando a galla identità che vivono ibernate in uno stato di semi-coscienza.
Da narratore vive tutte le situazioni in modo quasi maniacale: dall’interno, analizzandole e sezionandole, e dall’esterno, come osservatore. Poi unisce anche un’altra prospettiva, quella dell’immaginazione: per la quale, attraverso squarci mentali, proietta possibili sviluppi e si rappresenta avventuriero, seduttore, artista, omicida, guaritore …
La prima parte del romanzo scorre ipnotica nelle descrizioni della comunità che vive l’idillio dell’adelfia reale.
Poi, nella seconda parte, tutto si anima e subentra la descrizione delle esplosioni delle personalità coatte; la coppia scoppia e succede di tutto: vita, morte e miracoli … è proprio il caso di dirlo. Fino all’inopinata successione dinastica dello swami, che abdica al suo naturale erede.
In questo romanzo ho trovato un sorprendente De Carlo: nella prosa avanguardistica, nel linguaggio costruito con improbabili accostamenti di aggettivi e nomi, nei dialoghi proposti con una tecnica innovativa ed efficace. E soprattutto nel pennellare l’atmosfera che pervade la storia. Il fascino dell’oriente è richiamo per noi occidentali dai tempi di Schopenhauer o di Gaugin. E’ rivissuto in modo massivo nella filosofia new-age dell’ultimo scorcio del secolo appena conclusosi. Nelle sapienti mani di Andrea De Carlo questo fascino acquista un incanto speciale. Davvero originale.