Dettagli Recensione
Vivamente consigliato
Sono cosciente che con questa affermazione mi attirerò le antipatie di quelli che amano la lettura e (forse soprattutto – più facile, no?) la visione televisiva delle avventure del commissario Montalbano, ma a me la lettura dei gialli di Camilleri non entusiasma.
Troppa fatica dover decifrare un linguaggio poco comprensibile per la lettura di un semplice giallo… rinuncio, grazie.
Ma un raffinato amico siciliano mi ha incitata a non rinunciare alla lettura di un Camilleri diverso, orfano di Montalbano e ricco di diversa ispirazione: “Leggi la trilogia!” mi disse.
Il Sonaglio è appunto il titolo che chiude la cosiddetta “Trilogia delle metamorfosi”, in cui Camilleri si dimostra uno scrittore sensibile e fantasioso, a momenti poetico, a momenti decisamente crudo nelle descrizioni.
È un vero piacere la lettura della favola amara di Giurlà, piccolo schiavo pastore che vive l’amore per la sua capra Beba vedendola donna e che si innamorerà in seguito di una donna vera, la giovane Anita, scatenando la gelosia … della capra! L’amore per Anita creerà una serie di difficoltà al nostro Giurlà e porterà la storia verso una svolta inaspettata.
Il racconto è estremamente gradevole e fa dimenticare la fatica della lettura, trasformando il linguaggio che Camilleri utilizza nell’unico col quale questa favola amara poteva essere scritta.
[…]
L’ultima notti che passò allo stazzo prima di pigliari sonno pinsò che era meglio se riportava a Beba dintra al recinto avanti che arrivava Damianu. Ma quella reagì come se aviva accapito. Le ciampe puntate ‘n terra, non c’era verso di farla nesciri dalla capanna. Non si lamintiava, non diciva nenti, lo taliava con occhi dispirati. Giurlà, chiangenno, dovitti annare a pigliare un pezzo di corda, attaccariccilla al coddro e strascinarisilla con tutta la forza che aviva fino a dintra al recinto. Ma ‘na volta che fu trasuta, non si detti paci e accomenzò a fari il solito mutuperio di sàvuti e cornate. Giurlà, attappannosi l’oricchi per non sintirla fari accussì, sinni scappò. Annò alla capanna, si lavò la facci per non fari vidiri che aviva chiangiuto. Damianu, appena arrivato, s’addunò del malostare di Beba.
“Che havi ‘sta crapa?”
“Nenti. Siccome è la cchiù affezzionata, capace che capisci che staio partenno”.
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