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Una saga familiare
Antonio Pennacchi narra in modo epico l’esodo più o meno forzato di contadini emiliani, veneti e friulani dalle loro terre nelle paludi pontine, in quell’ agro laziale destinato alla bonifica ed al ripopolamento. Siamo nel ventennio fascista, le masse rurali trasferite portano laboriosamente e faticosamente a termine la loro epocale opera, assistendo dai poderi loro assegnati alla rinascita lenta e graduale di una terra prima paludosa e maledetta, infestata dalla malaria. Ed assistono al progressivo nascere di fiorenti città (Littoria, Aprilia, Pomezia…), sempre caparbiamente fedeli a quel regime che ha mutato in meglio le loro vite. E così faranno anche durante la seconda guerra mondiale, difendendo con le unghie e i denti la loro terra e i loro poderi contro gli invasori angloamericani. Il romanzo è il racconto, diviso in tre lunghi capitoli, di tutta l’epopea, in cui spicca la storia della famiglia Peruzzi, un numerosissimo clan, formato da nonne, nonni, padri, figli, nipoti, spose e sposi, che vivono e combattono per le loro famiglie ed i loro pezzi di terra, bestie comprese. Su tutto domina il Canale Mussolini (da cui il titolo del romanzo), lungo e largo canale costruito artificialmente per risanare l’area e far defluire le acque altrimenti ristagnanti. Il narratore (lo si scopre solo alle ultime righe) è un personaggio-sorpresa, che non riveleremo per non diminuire l’interesse per tutto l’intreccio narrativo. Non è, come qualcuno affrettatamente ha dichiarato, un romanzo con nostalgie fasciste : le ideologie non c’entrano, è soltanto la storia di una saga famigliare straordinaria, in cui personaggi coerenti e onesti si battono per la loro stessa sopravvivenza.
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