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Bùmeran
Montediddio è un romanzo bellissimo. Un racconto di formazione. Di crescita.
E la crescita è una perdita.
La perdita della madre, primo doloroso passaggio, poi, la perdita del bùmeran, che modellava i muscoli del corpo fino a farli diventare vibranti e gonfi, la perdita della figura simbolica di Don Rafaniè, il mentore, vittima sacrificale scampata all'olocausto che conserva la sua innocenza fino a spiccare il volo. E mentre bumeran e Rafaniè spiccano il volo, il ragazzo che diventa uomo afferra l’ombra alle spalle di Maria, e la butta via, la butta via così duro che vola, vola di sotto, vola dalla terrazza di Montediddio.
Ecco che la sua crescita si è compiuta. E’ diventato uomo e ha perso l’innocenza.
Questo è il filo rosso del racconto. Ma moltissimi altri spunti di riflessione nascono dalla scrittura di De Luca: è una lingua piana, calma, ma non lenta. ( Come è possibile, perchè mi viene di associarla a Petrarca?) Anche gli spazi tra i paragrafi sembrano suggerirti una pausa, e il pensiero germina sulle note accennate dallo scrittore.