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M’è ‘mparat e m’è perduta.
“T’aggia ‘mparà e t’aggia perdere”.
Don Gaetano insegna all’orfano a giocare a carte e a giocare la partita della vita.
E l’orfano apprende la sua storia e quella della sua città, l’ammore, il dolore , il sangue, l’abbandono.
E apprende che la felicità non è che l’attimo tra la lunga attesa e il doloroso distacco.
Tuttavia trama e personaggi e sfondo (tra l’altro ricorrenti anche in Montedidio), sono un pretesto per parentesi evocative-educative su tematiche molto diverse.
L’impressione è quella di un racconto “diseguale” e “dissonante”. Resta, potente, la magia incantatrice della parola: la dolcezza dei suoni, la sostanzialità e rarefazione del linguaggio. Piuma, goccia e scintilla.
Però l’ho capito, e non mi infervora più. Con "Montedidio" è stato innamoramento puro. Ora gli voglio bene, senza sussulti del cuore né subbuglio dell’anima.
M’è ‘mparat e m’è perduta.