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Le insormontabili barriere sociali
“Tutto ha avuto inizio un secolo prima o giù di lì. Fra la fine degli anni ’80 e i primissimi anni del ’90 del 1800.
A quel tempo la città, che aveva goduto della sua maggior fortuna nel periodo rinascimentale, non era ancora uscita dalla cinta pentagonale delle mura fatte costruire dai Della Rovere. Contava d’una manciata di migliaia di cittadini e di poche centinaia di portolotti.”.
Valentino Rocchi, purtroppo scomparso il 30 gennaio del corrente anno, è stato un autore di narrativa particolarmente fecondo e per quanto i romanzi pubblicati siano stati numerosi, i familiari, mettendo le mani nei cassetti della sua scrivania, ne hanno trovati non pochi, così che alcuni sono stati inviati all’editore di riferimento, la fiorentina Agemina.
Uno di questi è Menelicche, che più che romanzo è da considerare un racconto lungo, che trae origine da una filastrocca, versi popolari di una vicenda forse veramente accaduta, e che l’autore pesarese ha utilizzato, non senza aver prima fatto accurate ricerche, per imbastire una storia che nelle sue linee rientra nelle tipologie a lui così care e che, in altre forme, sono presenti nella sua produzione.
L’attenzione per le differenze di classe, un tempo più marcate di oggi, la difesa dei ceti più deboli, l’appassionata presa di posizione in favore dei portatori di handicap sono innate in Valentino Rocchi, convinzioni ben radicate nella sua intima natura al punto da costituire motivi ricorrenti nei suoi lavori. Quello che cambia nel caso specifico è l’ambiente, non più quello agricolo a lui particolarmente caro, ma quello marinaro, con il sottoproletariato delle attività a terra ad esso connesso.
La vicenda è di quelle che portano gradualmente a una profonda commozione, perché disegnata in un mondo in cui c’erano limiti invalicabili fra una classe e l’altra, confini che nemmeno l’amore poteva valicare e, se lo faceva, portava inevitabilmente ad accentuati conflitti che segnavano per sempre l’esistenza delle persone coinvolte.
E’ così che in una Pesaro di fine ‘800, da poco passata dal dominio del papa allo stato italiano, sboccia un’amicizia, che poi diventerà affetto e infine un sentimento più forte. La ricchezza della protagonista e la miseria di un operaio del cantiere navale sono il contrasto più stridente, ancor più della menomazione di lei, due mondi diversi, in cui convenzioni e sottomissioni imperano a dispetto di qualsiasi sentimento.
La mano di Valentino Rocchi è precisa, ma lieve, nel narrare questa storia, la cui conclusione sarà inevitabilmente non positiva, ed è con ogni probabilità che qualcosa di simile deve essere accaduto, perché la filastrocca è nata in ambiente popolare, in quella classe sottomessa che per prima rimprovera all’innamorato il tentativo di elevarsi, superando il confine.
E il difetto fisico diventa anche oggetto di scherno, una inconscia rivalsa di chi, per nascita debole, nei confronti di chi invece per origini dovrebbe essere forte. Il popolino, ignorante, si nutre anche di invidia, ma non manca di un congenito sentimento di pietà che fa sì che una ballata improntata allo scherno finisca con il diventare un pietoso canto all’amore negato.
Da leggere, senz’altro, come tutti i libri di Valentino Rocchi.