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Gli irripetibili istanti del cerchio della vita
“Come il puntino che salda il cerchio della vita con le sue quattro stagioni, sempre più piccolo man mano che il cerchio si perfeziona fino a diventarne un tutt’uno con esso. Càpita quindi di indicare un qualsiasi punto del cerchio e dire con sicurezza: è questo il punto che salda tutto, e sono infiniti i punti dato che il cerchio è perfetto. Come il respiro, il battito del cuore e delle ciglia in questo preciso momento in cui scrivo salda tutti quelli che ci sono stati con quelli che verranno.
Per dirvi, cari, che, nella perfezione del cerchio che è la vita di ogni uomo, ogni momento è importante quanto il tutto, e che questo sentimento lo si prova nella sua profonda verità quando i ricordi di stagioni lontane diventano memoria, proprio come queste pagine di ricordi sono diventate in me memoria. E la memoria è il puntino impercettibile che salda il cerchio della vita e mi fa dire, come succo di queste storie di vecchio lunario: vivere, ne valeva la pena
28 novembre 1984 – 8 agosto 1985”
Così, con queste parole, frutto di una profonda riflessione che i ricordi hanno maturato, si conclude l’ultimo libro di Luisito Bianchi, un inno all’epoca più bella della vita di ogni essere umano, quella della giovinezza, spensierata, gaia, in cui gli ideali non devono ancora far conto con la realtà del mondo.
E un paese della pianura padana, immerso nelle nebbie dell’autunno, quattro anime, tre case e una chiesa, torna a rivivere com’era tanti anni fa, in un processo di elaborazione dei ricordi che si trasforma in memoria.
Vescovato è ancor oggi un piccolo borgo, per certi versi irriconoscibile rispetto a quello degli anni giovanili dell’autore, ma qui torna a essere il centro di ogni interesse, l’immagine ingiallita di un’epoca che si colora ancora delle emozioni trascorse, sopite e che prepotenti riemergono. Così la penna, sapientemente guidata, ferma sulla carta figure e paesaggi, a definire un microcosmo in cui si muovono personaggi ormai scomparsi, che ora tornano a nuova vita.
Più che un racconto questa narrazione finisce con il diventare il recupero della propria trascorsa esistenza, nell’avvicendarsi di stagioni astronomiche che si confondono con quelle della vita, una sinfonia di suoni, di voci, di visioni e di aromi che piano piano avvolge il lettore, fino a penetrargli dentro, a coinvolgerlo, sì che da semplice spettatore ambisce a essere protagonista di una storia irripetibile.
E questo è il grande merito di questo libro, perché la memoria di Luisito diventa anche la nostra memoria, perché Vescovato diviene il nostro paese in cui avremmo desiderato di essere nati, per vivere con lui, con l’autore, le esperienze di una giovinezza ricca per l’animo e ritrovare quelle radici che il tempo che passa, convulso e orfano della nostra attenzione, sembra aver reciso.
Dal gioco della lippa alla festa di paese, dai giorni scanditi dalle ricorrenze religiose alla neve nei campi, al profumo di pulito dei fiori del granturco, si disegna così, armoniosamente, questo grande cerchio fatto di momenti, tutti egualmente importanti.
Appaiono figure vicine, come quelle dei familiari, oppure altre, solo in apparenza meno rilevanti, perché la vita di ognuno di questi è stata un cerchio che si è intersecato con quello di Luisito, personaggi che la storia non ricorderà, perché quella parla solo dei capi, ma questi protagonisti minori sono assai più importanti, perché il loro modo di essere ha rappresentato un’esperienza diretta insostituibile.
La mano dell’autore è lieve, mai incline alla facile commozione, ma in questa commedia umana ci sono attori che di per sé portano a sensazioni di grande emotività, come Giuliano con il suo asino, o meglio ancora Nèna e Céli, la cui bontà è tanto grande quanto la loro miseria.
Ho scritto prima che Luisito ha dato memoria a un microcosmo, ma ognuno dei componenti di questa piccola realtà ha una sua grandezza, in molti casi immensa, perché ognuno ha saputo restare nel ricordo, ora diventato memoria.
Se La messa dell’uomo disarmato è considerato il più bel libro sulla Resistenza - e non solo su quella aggiungo io -, Le quattro stagioni di un vecchio lunario è uno stupendo canto alla vita, una di quelle opere, rare, che non gettano sassi nelle acque ferme degli stagni, ma che sussurrano lievi agli uomini l’autentico significato da dare alla loro esistenza.
E mi sembra d’obbligo ringraziare Luisito Bianchi per averci dato un altro capolavoro.