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Non entusiasmante
Mi spiace dissociarmi dalla folta schiera entusiastica dei lettori, ma questo libro non mi ha tanto coinvolto; l’assurdo è che nemmeno io stesso mi so spiegare il perché non mi sia piaciuto, del resto la trama è ben congeniata e c’è un accattivante dosaggio tra tragico e comico. Il romanzo, infatti, è ambientato in una periferia degradata del Nord-Est con personaggi ben assemblati tra loro: un trio di balordi senza lavoro regolare, un patetico e quasi comico assistente sociale, due adolescenti stupide e insulse da sembrare stereotipi ed infine il protagonista, Cristiano Zena, il figlio di uno dei tre balordi e che cresce in quest’ambiente ostile avendo come unico riferimento il padre, Rino, un maschilista enormemente sicuro di sé, terribilmente ignorante, gran bevitore e pure picchiatore nazista. E proprio il rapporto padre-figlio è il filo conduttore del racconto, un legame che. pur nell’atipicità del personaggio del padre, è veramente forte e condiziona l’evoluzione e l’epilogo del racconto stesso. I personaggi si lasciano vivere come se fossero trasportati dalla corrente di un fiume, trascinati incontro ad una cascata senza scampo (e ben si avverte nel libro che si sta procedendo verso un epilogo tragico). Arriva la svolta decisiva: Il trio di balordi decide di fare una rapina, l’assistente sociale si butta a capofitto in una relazione con la moglie del suo migliore amico (ed entrambe le situazioni hanno del parossistico), e per finire una delle due ragazzine è involontariamente, e per sua sfortuna, la causa del tragico epilogo. Senza entrare in dettagli eccessivi (altrimenti la redazione mi picchia!!) si può dire che la forza del rapporto con suo padre sia l’unica risorsa di Cristiano, ed a questo sentimento lui si attacca morbosamente, ma che nello stesso tempo ne sia anche il suo limite, e per emanciparsi completamente e vivere finalmente libero Cristiano abbia come “bisogno di uccidere il proprio padre”. Lo stile è asciutto e molto crudo, l’intreccio è decisamente cinematografico (infatti sono molto curioso di vedere quanto prima il film che ne ha tratto Salvatores), però, non so perché, continuo a non essere entusiasta del risultato finale, come se avvertissi che manca qualcosa, forse l’ambientazione della scena finale in “una notte buia e tempestosa” (sembra di leggere una strisca di Charlie Brown) ci suggerisce che Ammaniti qui gioca a fare il romanziere e ci rileva quanto sia, in effetti, artificiosamente costruito il romanzo, così come sono decisamente finti i compagni di scuola di Cristiano, tratti dai tanti luoghi comuni che definiscono i ragazzi tutti ossessionati dal consumismo e da falsi valori, con genitori egoisti e menefreghisti, insomma affiora un po’ di qualunquismo. Comunque, pur con qualche personalissima (sicuramente errata) riserva, alla fin fine un buon libro, ma non un capolavoro.