Come Dio comanda
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Formichine ovunque
Premesso: non ho mai letto volentieri gli autori italiani, figurarsi quelli contemporanei.
Ma debbo ammettere che questo libro è uno spettacolo, una forza della natura che prende dalla prima pagine e va dirompente fino all'apocalittico finale.
Me lo gusto ogni volta, con un piacere proprio godurioso.
Questa storia stramba di un amore folle fra padre e figlio emarginati da una lurida, sporca, corrotta società, dove vivono residui umani senza arte e ne parte.
I toni sono foschi, crudi, cupi.
Ci sono le ragazzine viziate sugli scooter, i cani che azzannano, i masturbatori seriali, le televisioni perennemente accese, gli assistenti sociali allupati come un eremita sulla punta estrema del K2.
C'è violenza che sgorga in ogni pagina e poi ci sono loro, le formichine che invadono la testa del protagonista e lo rendono folle, lo accecano e quasi lo conducono nella valle dell'Eden.
Un romanzo corale, dove ogni personaggio è disegnato in maniera impeccabile, sia dal punto di vista psicologico che fisico.
L'autore prova proprio un godimento unico a farci vedere quanto sporca e putrida sia la vita in provincia, dove sembra che nulla debba mai accadere, dove c'è il "buon vicinato", lontano dal caos cittadino e dalla solitudine delle grandi metropoli.
Eppure in questo contesto quasi bucolico, si annida il seme della violenza, della follia, del desiderio di distruggere gli altri tanto per farlo, perchè è "come Dio comanda".
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FURIA ROSSA
Questa lettura mi ha lasciata veramente perplessa, nel senso che, se da una parte lo stile utilizzato non è dei miei preferiti, molto sboccato, a tratti veramente in modo esagerato, dall’altra forse era proprio lo stile ideale per rappresentare i personaggi che l’autore voleva tratteggiare, i loro caratteri ed il loro mondo. I personaggi sono improbabili, ma, nelle loro nicchie, veramente molto ben riusciti ed anche quelli secondari, che sono delle vere e proprie comparse, hanno tutti la propria connotazione. Una delle cose che più mi ha colpito della lettura è l’insieme delle esplosioni di rabbia che popolano la storia, una vera e propria furia rossa, disseminata in più modi ed in più momenti, prima, durante e dopo la fatidica notte che racchiude l’evento clou della storia. Le emozioni sono tutte all’eccesso in questo testo, soprattutto la rabbia. Quella assassina, quella con la vena buona, quella che vive solo per se stessa. Mi ha colpito quanto gli insulti possono fare centro e bucare le nostre parti sensibili. Quanto forte e pungente è l’odore del dolore, che riduce l’universo ad una serie di pensieri sconnessi. Libro che esprime in maniera violenta le emozioni. Però…però… la storia non regge molto. Fino a metà libro ero tentata di abbandonare. Il capitolo della notte ha rimesso in animo l’entusiasmo della lettura, nell’attesa di un finale che mi sorprendesse, perché tanti potevano essere i finali di questa storia. Invece il finale mi è parso scialbo, veramente poco significativo, pur avendo ottime potenzialità di potersi chiudere col botto. E’ comunque senz’altro un libro di cui consiglio la lettura, anche se io non ne sono rimasta per nulla entusiasta.
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Pozzanghere di nafta color arcobaleno
La forza di questo romanzo sta soprattutto nella capacità dell'autore di entrare nella mente dei personaggi, fornendo al lettore molteplici cambiamenti di visuale.
Nelle prime pagine ci si ritrova a guardare il mondo con gli occhi e il cuore di Cristiano, un tredicenne un po' disadattato ma impavido, e con quelli Di Rino Zena, un semialcolizzato disoccupato e pieno di livore contro il mondo.
Padre e figlio, uniti da un rapporto di odio-amore: “Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me. Non c'è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai”.
Poi ci sono i loro due unici amici, perdenti da manuale, e tutta una serie di personaggi secondari sempre ben tratteggiati, di cui scorgiamo per qualche pagina un pezzo di esistenza.
Malgrado qualche occasionale deviazione nel luogo comune, il libro esamina il complesso mondo dei sentimenti senza retorica strappalacrime e cresce in suspense e in ironia con una sottile satira di costume.
Sembra che Ammaniti, tenendo le fila degli eventi, si diverta nel ruolo di un Dio dai disegni imperscrutabili, mentre speranza e disperazione si alternano in un paesaggio squallido e freddo, con alberi spogli che spuntano dal fango e “pozzanghere di nafta color arcobaleno”.
Qualche imprecisione nei dettagli di quello che a poco a poco assume i colori di un thriller non toglie comunque efficacia ad un libro che emoziona, anche grazie a scene incorniciate da colonne sonore azzeccate, marchio di fabbrica dello scrittore.
“L'aquila” di Bruno Lauzi, in uno fra i momenti più intensi della narrazione, spicca fra tutte.
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Come Dio comanda
Forte, anzi fortissimo, di studiatissimo effetto. Se metti al centro della storia la vita un ragazzino disadattato costretto a vivere con un solo genitore, alcolizzato e violento e la allacci con la vita di un’altra ragazzina che tormenta le sue fantasie erotiche e magari ci fai ruotare intorno un paio di pseudo amici reietti e dediti all’ ozio, crei una situazione in cui il tormento è assicurato.
E Ammaniti è un maestro nel creare delle situazioni paradossali e arginare giusto in tempo il pericolo di cadere nel ridicolo. Inserisce in questo romanzo tutti gli elementi della tragedia, ci sono povertà, emarginazione, follia, alcolismo e violenza e non può che terminare con un messaggio immorale e licenzioso.
Ha il talento di descrivere in modo crudo la solitudine dei personaggi, causa ed effetto del disagio e un alibi per la violenza a cui si abbandonano di tanto in tanto creando forzatamente nel lettore lo spazio per la pietà e la comprensione, non rinuncia al sarcasmo, aggiunge particolari ironici e concede un margine di tempo relativamente piccolo per un sorriso.
Il tema dominante è l’amore, più che quello di un padre per un figlio che in qualche modo avrei ritenuto scontato, è il bene che il figlio prova per il padre ad esortare qualche riflessione, è un amore viscerale, incondizionato, deviato in qualche modo. Cristiano, il personaggio principale, suggella a modello di vita l’unico uomo che conosce realmente, pur con la consapevolezza che non è il miglior degli esempi non fa che attingere forza per forgiare un carattere altrettanto iracondo e collerico.
Se Ammaniti merita un plauso per il racconto avvincente e la minuziosità dei particolari non posso però non essere critica sulla concreta probabilità che un ragazzino di 14 anni possa arrivare a fare quello che si legge in questo libro per il bene del padre, rendendosi così complice di un crimine assurdo. Crimine a cui avrei voluto far susseguire dolore ma soprattutto condanne e sostituire proprio l’idea di una punizione ideale alla retorica dilagante.
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Come Dio Comanda
Beh... cosa dire! Il vero problema di Ammaniti, almeno quando scrive questi romanzi corali [Come Dio comanda edito da Mondadori nel 2006], è riuscire a trovare il bandolo della matassa perché, tra un pianto e una risa, esci fuori con la consapevolezza di aver letto un gran bel libro, in pochissimo tempo e senti, nell'aria, ancora il profumo della pioggia anche se fuori splende il sole da diverse settimane!
La famiglia Zeni, composta da padre e figlio, fa da sfondo ad un racconto nel quale si intrecciano le vite di un paesino di un Nord-Est che, sembra, aver perso il contatto con la realtà e, immerso dalla pioggia, stenta a comprendere il male dei suoi "figli".
Il disagio socio economico si arrampica su un problema più profondo come quello dell'ipocrisia lampante, chiaramente esplicitata nell'ultima parte del racconto, dove la pietà, cedendo al rancore, non fa però scaturire l'amore, come direbbe il grande Faber, ma solo la rabbia di chi, di questa ipocrisia, è vittima!
Se volessimo analizzare a fondo questo romanzo di vittime se ne troverebbero a iosa... ma il vero problema, come in tutti i lavori di Ammaniti, non è tanto il trovare la vittima, ma quanto il capire ciò che la circonda e la porta ad esserla. E' un po' come se si continuasse a osservare il dito tralasciando, in modo sciocco, la luna.
Su tutti i personaggi si erge la figura di Dio come "guida" ad ogni tipo di azione quasi a volerle giustificare, una auto-assoluzione preventiva... una specie di alienazione di feurbachiana memoria. Ma sappiamo che questa presentazione di Dio è "romanzata" e molto popolare rimandando, comunque, degli input importanti per riuscire a "ragionare" anche su questo.
Quindi se avete tempo e voglia, se vi volete far trascinare in una storia tragica dal sorriso semplice ed immediato, prendete questo libro mettetelo nella borsa dell'estate e vedrete che, sotto l'ombrellone al mare, anche voi riuscirete a sentire quel sapore di pioggia che permea tutto il romanzo del nostro caro Niccolò Ammaniti!
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Un padre ed un figlio. Pagine di ordinaria follia
Forse non è uno dei romanzi più recenti di Ammaniti, ma sicuramente una delle sue opere meglio riuscite.
Con una trama solida, dinamica e senza sbavature, l'autore crea un universo concreto e attuale dove il dramma, la solitudine e l'incomprensione trasmutano le parole in realtà.
Rino è un padre che come tanti si ritrova a crescere un figlio da solo senza la presenza e l'appoggio della moglie nonché madre di Cristiano. E' un emarginato, un disoccupato, un uomo abbandonato a sé stesso e alla sua condizione, un uomo che giorno dopo giorno deve fare i conti con “quel sistema” che minaccia di privarlo dell'unico vero affetto rimastogli. La rabbia nutrita verso il Mondo e verso le circostanze che gli hanno impedito di vivere la vita che desiderava per sé e suo figlio lo inducono alla violenza, all'alcool e all'uso della forza per difendere le sue ragioni. Non ci sono alternative: se sei vittima di un torto, chi te lo ha procurato deve pagare con un'angheria pari o superiore al sopruso da te subito.
Il giovane ed intelligente Cristiano cresce tra povertà e continua ricerca di sé stesso. Mentre la ragione lo induce a non condividere ogni insegnamento del padre cercandone addirittura dei nuovi, lo stato delle cose lo portano a cercare sempre più il favore della sua unica fonte di affetto e certezza dimostrandosi verso di essa leale sino alla fine.
Un fardello troppo grande si abbatterà sulle spalle di Cristiano, un qualcosa che non minerà alla fiducia nutrita nei confronti del padre tanto da difenderlo pur senza conoscere della sua innocenza e/o colpevolezza, ma che metterà in dubbio valori quali amicizia, la fiducia, la fedeltà.
Una serie di eventi concatenati ed inevitabili che dimostreranno a Cristiano stesso quanto essenziale sia lottare per proteggere quel poco che si ha e che ci è rimasto valicando le soglie del giusto e dello sbagliato.
Un romanzo complesso, ben articolato, mai banale e scontato che rende la lettura al tempo stesso odiosa e insidiosa ma anche esaustiva ed entusiasmante.
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Una grande storia d’amore: un figlio e un padre.
Sono sorpresa, commossa, perplessa… il cuore colmo di triste gioia per i sentimenti di infinito, incommensurabile amore, ma anche stima, fiducia, paura, rispetto, che questo ragazzino di tredici anni, Cristiano Zena, nutre nei confronti di suo padre Rino Zena.
Un trasporto talmente incondizionato che Cristiano smetterà gli abiti in verità mai indossati, di adolescente bisognoso di cure e protezione, e diventerà egli stesso genitore protettivo, sfidando le sue stesse forze, fisiche e psicologiche, spinto da quel legame che è il nostro stesso sangue, che siamo noi stessi....che è questo padre, che non è solo l’unica persona al mondo che gli resta, è la sua stessa vita e il suo stesso mondo. E’ il suo riflesso e la sua immagine.
Ma tutto sommato, anche Rino che inizialmente mi fa soffrire, per come tratta questo figlio, per quanto pretende da lui, per quanto lo spinge a mettersi alla prova, per quanto lo obbliga a sfidare e pretendere sempre più da se stesso, in fondo lo stringe sempre in un abbraccio, da lontano, affinchè il figlio impari a saper vivere e difendersi da sé e dagli altri in questo difficile mondo.
Intorno un clima cupo e schizofrenico, tenebroso e piovoso, una bufera non solo atmosferica si abbatte su questi e altri personaggi, ognuno con la sua storia e i propri orrori. Una pioggia che invece che lavare e portare via le malvagità, scarica buio, fulmini e freddo su queste anime già così tormentate. E quando le nuvole torneranno ad aprirsi e il cielo a riaffiorare, nulla sarà più come prima, tutto andrà sanato e risolto.
Il non più piccolo Cristiano, -ma lo è mai stato?- spinge tra il fango una carriola, tra lacrime non versate e sudore.
“Io non ho paura di morire. Solo chi ha paura muore facendo stronzate come camminare su un ponte. Se a te di morire non te ne frega niente puoi stare tranquillo che non cadi. La morte se la piglia con i paurosi. E poi io non posso morire. Almeno fino a quando non lo deciderà il Signore. Non ti preoccupare, il Signore non vuole che ti lascio solo.
Io e te siamo una cosa sola. Io ho te e tu hai me.
Non c’è nessun altro. E quindi Dio non ci dividerà mai.”
“Io non ti ho abbandonato. Ti sto solo aspettando.
Ti voglio bene.”
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Cristiano ovvero la caduta
Grande romanzo di Ammaniti. Ti prendo e ti porto via può essere considerato la piantina su cui germoglierà il fiore di questo romanzo. Situazione generale da servizi sociali. Padre "nazista" autoritario e alcolista. Cristiano antieroe moderno in "formazione" alla ricerca della normalità ma vittima di ciò che la vita gli pone davanti. Tutto è grottesco, gli amici del padre a cui la vita sembra aver già tolto ogni cosa, il folle progetto di rapinare un bancomat, le relazioni scolastiche, la stessa casa in cui Cristiano e suo padre vivono. Ancora un amore impossibile che può trascendere le classi sociali e salvare la vita di un giovane... Bella la trasposizione cinematografica con un magistrale Timi, che riesce però solo a lambire le profondità che sono proprie di questo romanzo. L'epilogo poi è una magia di incastri con una progressiva caduta nell'orrore quotidiano, sotto la pioggia battente, in una notte buia. Ciò che ci attende toglie ogni speranza.
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Forse Dio comanda
Una squallida cittadina di provincia , nell’ inospitale e fredda pianura invernale, è l’habitat dove tre disperati, senza soldi e senza speranza, cercano di cambiare il corso della loro esistenza progettando un colpo al bancomat.
L’improbabile trio è il riferimento affettivo di Cristiano Zena, un adolescente combattuto tra l’amore e la fedeltà ai parametri culturali del padre, nazista e alcoolizzato, e il desiderio di omologarsi ai coetanei, di possedere un telefonino e la moto.
L’educazione che Rino Zena gli impartisce è orientata alla sopraffazione sui più deboli, alla supremazia fisica da superuomini. Ma suo padre rappresenta anche un porto sicuro dove rifugiarsi, dove trovare amore incondizionato.
Il libro ci serve subito l’iniziazione di Cristiano che deve sparare un colpo di pistola a un cane, colpevole di aver disturbato la loro quiete nella silente piana innevata.
Prosegue con le disavventure di Quattro Formaggi, di Danilo e di Rino Zena alle prese con la mancanza di lavoro e l’emarginazione sociale.
La notte che dovrebbe segnare la svolta, quella del colpo al bancomat, sarà invece il tragico epilogo delle vite del trio e di quella di Fabiana Ponticelli, la bellissima ragazza che Cristiano deve limitarsi a desiderare da lontano.
Quella notte da lupi sarà sconvolta dalla tempesta e dal fango, dall’acqua e dalla violenza.
La moralità sembra non essere un valore, eppure tutti i protagonisti invocano Dio.
Quattro Formaggi crede addirittura di seguirne le indicazioni quando rincorre e violenta Fabiana, Danilo vive come un miracolo del Signore il ritrovamento delle chiavi che gli serviranno per lanciare l’auto contro la banca.
Anche Giuseppe, l’assistente sociale che ha in consegna il destino familiare degli Zena, fa voto a Dio affinché “resusciti” un uomo che ha investito, di ritorno dall’incontro amoroso con la moglie del suo migliore amico.
E Dio sembra esaudire tutti questi strani desideri, eppure si ha la sensazione che sia il Grande Assente, un contenitore assolutamente vuoto di valori che viene riempito secondo chi lo usa dai desideri più biechi.
Dopo disavventure anche divertenti, descritte realisticamente da una prosa a volte anche molto cruda ed esplicita, che mi ha ricordato Bukowski, resta solo l’amarezza di vite segnate, di destini già tracciati che niente può cambiare.
Ammanniti (Roma, 1966), che ha vinto il premio Strega nel 2007 proprio con questo libro, ha la capacità di incatenarci al racconto capitolo dopo capitolo. Ci spinge a tifare per Cristiano, a rincorrere la speranza che il padre Rino riemerga dal coma per continuare quella squallida esistenza fatta di frigo vuoti, di sporco e di disordine, ma piena di quell’amore reciproco che porta entrambi a superare i propri limiti per proteggere l’altro.
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Incastro perfetto
Un romanzo semplicemente unico per la sapienza dell'autore che, ormai padrone di sofisticate tecniche narrative, riesce ad incastrare perfettamente vicende differenti che si svolgono parallelamente, passando con estrema disinvoltura dal noir alla commedia.
Al centro della vicenda c'è un rapporto simbiotico, a tratti quasi morboso, fra padre e figlio. Rino, abbandonato dalla moglie e rimasto solo con l'adolescente Cristiano, cerca di istillare in lui una mentalità orientata alla violenza ed alla prevaricazione. Ma il giovane riesce ad imitarlo solo in parte. Ci prova: vuole renderlo orgoglioso. Ma dentro di sé è profondamente fragile, sognatore, innamorato e timido. Si aggrappa al padre per “spirito di compensazione” perdendo il contatto con la parte più vera e più pura di un’anima costretta a crescere troppo in fretta, un’anima a tutti gli effetti sola.
E anche Quattro Formaggi è solo. Lui, che cerca il rapporto con Dio ed attraverso di esso – vero o presunto che sia – dissimula la propria follia. Una mente ossessionata può commettere i danni più gravi. E, se all’interno di queste ossessioni, vengono trascinate persone innocenti, le vite di molte persone possono cambiare.
Impossibile non commuoversi davanti all’immagine di un ragazzino che – convinto della responsabilità del padre in un omicidio – cerca di difenderlo con un’emozione che oscilla fra la tenacia e lo sconforto, braccato da un assistente sociale a sua volta troppo fragile, forse superficiale, per poter fornire un aiuto concreto.
Attraverso questo trano ossimoro, il lettore cerca di barcamenarsi pervaso da un profondo senso di familiarità con un mondo troppo simile a quello in cui si trova a vivere, un mondo fatto di lande desolate, di strade periferiche, di luci artificiali, di centri commerciali, di motociclette e di temi sul nazismo. Un mondo buio, laddove i personaggi più duri ed emarginati cercano di ricomprare, per le proprie anime, una parvenza di purezza.
E, soltanto a volte, ci riescono.
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Così bello, così umano
Impressioni a caldo.
La prima cosa a cui penso è la distanza.
Se vivi in un pezzo di Pianura e devi raggiungere l’immenso centro commerciale, la piazza del paese, il bosco o casa tua in una notte di tempesta, lo spazio e i mezzi che hai a disposizione per percorrerlo fanno parte della tua vita. Se Cristiano perde l’autobus per andare a scuola deve macinare chilometri a piedi bestemmiando perché non ha il motorino, mentre cammina lungo la statale attento a non farsi vedere dalle due stra-belle delle scuola che sfrecciano in coppia su uno scooter con gli adesivi. Corrado alias Quattro Formaggi ha un Boxer scassato che va come un fulmine, e dire che lui la scossa l’ha presa davvero da ragazzino… E da allora la sua testa (già un pochino difettosa) è partita del tutto. Danilo Aprea non guida più la sua auto ma vorrebbe mettersi al volante di un trattore e lanciarsi a tutta velocità contro il bancomat, sfondarlo e compiere la rapina del secolo. Questo pensa ogni giorno seduto lì di fronte, mentre si alcolizza al tavolo del bar. Anche Rino è un ubriacone, ma a bordo del suo Ducato cerca di rimediare almeno un lavoro e del brutto sesso occasionale.
Rino è padre di Cristiano, l’unica stella nel suo cielo nero di miseria e disperazione. Entrambi sono consapevoli che non hanno niente a questo mondo che loro stessi e il vincolo di sangue e cuore che li unisce. Hanno il niente e il tutto da perdere. Lottano ogni giorno contro un frigo vuoto, il freddo e la sporcizia di una casa che ben poco lo sembra ma che torna (quasi) perfetta ad ogni visita del buon Beppe, l’assistente sociale.
Rino, Quattro Formaggi e Danilo sono amici, o forse tre soli che si fanno compagnia per riempire a vicenda un po’ di quel vuoto assoluto che divora le loro esistenze.
Perché c’è pure la distanza fra esseri umani, ma quella si chiama solitudine.
E di solitudine, degrado, violenza e follia sono fatte queste storie che s’intrecciano ed esplodono nel bel mezzo di un temporale pazzesco.
Mi inchino nuovamente al sano genio di Ammaniti che con questo libro mi ha fatta sorridere e commuovere, tanto riflettere, mi ha stupita, travolta per lasciarmi infine con l’amaro in bocca e una velata malinconia.
Certamente indimenticabile.
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Un amore viscerale
Una storia priva di leggerezza, che non trasmette serenità, ma allo stesso tempo forte e assolutamente difficile da dimenticare.
Come Dio comanda racconta la storia di Cristiano, un ragazzo di 14 anni e di suo padre Rino, alcolizzato e disoccupato che vive continuamente minacciato di vedersi togliere il figlio dall'assistente sociale.
Un rapporto difficile tra un padre balordo e un figlio che sa che il padre può chiedergli tutto.
Intorno a loro si muovono altri personaggi come Danilo, segnato dalla morte della figlia e dall'abbandono della moglie, oppure quattro formaggi ridotto male da un fulmine che lo ha reso un po fuori di testa.
Un gruppo di persone che vivono quasi emarginati dalla società, nutrendo odio per gli altri che vivono una situazione "normale".
In una notte di tempesta saranno tutti costretti a fare i conti con il loro destino che trasformerà per sempre le loro esistenze.
Una storia violenta, ma allo stesso tempo di intenso amore, da non riuscire assolutamente a dimenticare.
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Inizio da Oscar...
Da persona che scrive, ho apprezzato moltissimo il modo in cui lo fa il mio coetaneo (ci separa una settimana, neoquarantacinquenni entrambi)... Ammaniti a mio avviso ha un'eleganza notevole nella scelta delle parole, nella costruzione delle frasi e dei dialoghi: ci ha messo tanto a scrivere questo romanzo, ma il risultato vale l'attesa. Da persona che legge, la storia è semplice (come devono essere le storie ben riuscite: raccontabili in una sola frase) ma tiene sempre sulle spine, sempre pronti a seguire le evoluzioni della trama: se proprio devo trovare un difetto, forse il finale non è perfetto. Ma Niccolò è in ottima compagnia, anche King produce spesso finali che sembrano non essere all'altezza del resto, forse però accade perchè ci si aspetta troppo. In conclusione, grandissima prova di Ammaniti: non so dire se migliore di "Ti prendo e ti porto via", ma senza dubbio merita un BRAVO!
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Ammaniti non delude nemmeno questa volta
E'il mio secondo libro preferito scritto da Niccolò Ammaniti subito dopo "Io non ho paura". Mi è piaciuto moltissimo e mi ha coinvolta al massimo impedendomi di staccare il naso dalle pagine (non a caso, infatti, l'ho terminato in pochissimo tempo): mi sono immedesimata perfettamente in tutti i personaggi e la storia mi ha tenuta letteralmente col fiato sospeso in ogni momento. Ho apprezzato molto, inoltre, il rapporto fra Rino e Cristiano: un rapporto famigliare costituito da amore e violenza ma, nonostante ciò, incapace di dissolversi in qualunque situazione. Il personaggio di Quattro Formaggi poi mi ha suscitato una tenerezza indescrivibile. Non smetterò mai di dirlo: Niccolò Ammaniti è uno scrittore coi fiocchi.
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Toccante. Cupo. Vero
E' il primo romanzo di Ammaniti che ho letto e devo ammettere che mi ha conquistato totalmente. Sia durante la lettura che nei giorni successivi quando di tanto in tanto pensavo alla storia di Cristiano e Rino. Una storia toccante, densa, fragile come tante altre che purtroppo non vengono ben messe a fuoco come Ammaniti riesce qui a fare.
Ci sono istanti in cui è forte il senso di disagio per le condizioni in cui padre e figlio versano. Hanno un rapporto particolare loro due. Rino cerca di insegnare a Cristiano come essere forte nella vita. Non avere sentimenti per non restare deluso e tradito. Deve essere un duro, come lui. Perchè Cristiano ha solo Rino al mondo e deve fare come gli dice lui. Deve saper sparare ad un cane, perchè è solo un cane che abbaia e non lascia dormire il padre.
Danilo e quattro formaggi sono gli unici amici di Rino, che come lui cercano una rivalsa verso un mondo che li ha usati traditi e gettai in un cassonetto. Hanno un credito da riscuotere. Devono uscire dalla topaia dove si sono rinchiusi, e il solo modo che gli viene offerto dalla società e quello di rapinare un bancomat.
In alcuni momenti Ammaniti sembra voglia accendere un barlume di luce e dirci che forse non è cosi tutto nero quello che sembra. Forse c'è una via d'uscita. Si può avere una rivalsa.
O forse no, niente ha un senso e bisogna accettare quello che Dio ordina, quello che Dio comanda.
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Da leggere!
Tutte le volte che leggo Ammaniti mi stupisco di come riesca a dipingere magistralmente storie di una Italia di periferia, di persone “vere” che conducono vite difficili, disagiate, tristi.
Lo stile è crudo, duro e diretto come sempre, ma si adatta benissimo ai tratti dei personaggi: Rino, un padre naziskin, violento, ubriacone, ma che ama smisuratamente il proprio figlio che ha cresciuto da solo; Cristiano, il figlio tredicenne che ha un rapporto di amore-odio con il padre; Quattro Formaggi, un povero psicolabile in “contatto” con Dio; Danilo, un uomo che ha affogato nell’alcool il dolore per la morte della figlioletta e vive nell’utopia di poter tornare con la moglie che l’ha lasciato. Sullo sfondo la storia di Beppe, un assistente sociale divorato da un amore difficile.
Di questo libro mi hanno colpito in particolare un paio di cose. Il rapporto tra Rino e Cristiano, un legame intenso che trascende l’apparente distorsione di un padre che insegna ad un figlio che con la forza si ottiene tutto. Dietro a questo muro c’è un uomo che farebbe di tutto per il proprio figlio, verso il quale nutre un amore smisurato grazie al quale è riuscito a crescerlo da solo, e che si batte perché i servizi sociali non glielo portino via. Cristiano a tratti lo odia per il suo modo di vivere e di rapportarsi con il mondo, ma nel profondo lo ama e sa che suo padre è “buono”.
Mi ha poi fatto riflettere il modo in cui Ammaniti ci dice come ciascuno in fondo abbia alle spalle una vita, una storia, mille problemi, se più o meno grandi non sta a noi deciderlo. Anche l’assistente sociale – una figura che in genere (sia nei libri che nei film) è descritta come il terzo incomodo, il cattivo che vuole dividere genitori e figli, che se ne frega di cosa c’è davvero dietro al disagio di una famiglia – trova una sua precisa fisionomia, ha un volto umano con delle insicurezze, dei problemi che non sa come affrontare, ama, si emoziona, sbaglia.
Non ci sono eroi, non ci sono vittime, ognuno ha la possibilità di scegliere il proprio destino e può decidere come farlo.
Un libro molto bello. Leggetelo, ne vale la pena.
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crudo come sempre
ammaniti non si smentisce mai:prende persone con storie di dolore e disagio e le amalgama piano piano,in un crescendo di ricordi e flashback,svelando i loro drammi e le paure.il climax finale violento in cui tutti i destini si uniscono nella tragedia è la naturale conclusione per la storia di questi reietti. lettura scorrevole ma non leggera.
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Duro, non per tutti
Non è un libro per tutti, il racconto è molto duro, tragico, il turpiloquio è continuo ma direi perfettamente adatto ai personaggi e al contesto. Sono uomini vinti , dei perdenti che ognuno a suo modo cerca di cambiare lo stato di cose : chi seguendo la sua follia, chi prendendo a pugni il destino, chi alla ricerca di un impossibile riscatto . Personaggi presi a piene mani dalla nostra quotidianità, quanti essere soli e disperati incontriamo tra la gente , in quanti riconosciamo i segni lasciati dall'avere attraversato l'inferno a piedi, quante richieste di aiuto più o meno silenziose restano inascoltate. Quanti adolescenti senza valori , quanti genitori distratti non disposti a capire, quanti uomini deboli anche con se stessi. Non è il quadro assoluto della nostra società ma è come la fotografia di un attimo , di un luogo, di un pezzo del nostro mondo, impietosa , cruda e drammatica .
Impressionante il rapporto tra Cristiano ed il padre , con la rabbia e la disperazione ad unire oltre l'amore, come se ognuno fosse tutto ciò che rimane all'altro.
Non è un libro per stomaci teneri, bisogna avere il coraggio di ammettere che accanto a noi ci sono vite così, se facciamo finta che non è vero questo libro ci lascerà scioccati.
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Non entusiasmante
Mi spiace dissociarmi dalla folta schiera entusiastica dei lettori, ma questo libro non mi ha tanto coinvolto; l’assurdo è che nemmeno io stesso mi so spiegare il perché non mi sia piaciuto, del resto la trama è ben congeniata e c’è un accattivante dosaggio tra tragico e comico. Il romanzo, infatti, è ambientato in una periferia degradata del Nord-Est con personaggi ben assemblati tra loro: un trio di balordi senza lavoro regolare, un patetico e quasi comico assistente sociale, due adolescenti stupide e insulse da sembrare stereotipi ed infine il protagonista, Cristiano Zena, il figlio di uno dei tre balordi e che cresce in quest’ambiente ostile avendo come unico riferimento il padre, Rino, un maschilista enormemente sicuro di sé, terribilmente ignorante, gran bevitore e pure picchiatore nazista. E proprio il rapporto padre-figlio è il filo conduttore del racconto, un legame che. pur nell’atipicità del personaggio del padre, è veramente forte e condiziona l’evoluzione e l’epilogo del racconto stesso. I personaggi si lasciano vivere come se fossero trasportati dalla corrente di un fiume, trascinati incontro ad una cascata senza scampo (e ben si avverte nel libro che si sta procedendo verso un epilogo tragico). Arriva la svolta decisiva: Il trio di balordi decide di fare una rapina, l’assistente sociale si butta a capofitto in una relazione con la moglie del suo migliore amico (ed entrambe le situazioni hanno del parossistico), e per finire una delle due ragazzine è involontariamente, e per sua sfortuna, la causa del tragico epilogo. Senza entrare in dettagli eccessivi (altrimenti la redazione mi picchia!!) si può dire che la forza del rapporto con suo padre sia l’unica risorsa di Cristiano, ed a questo sentimento lui si attacca morbosamente, ma che nello stesso tempo ne sia anche il suo limite, e per emanciparsi completamente e vivere finalmente libero Cristiano abbia come “bisogno di uccidere il proprio padre”. Lo stile è asciutto e molto crudo, l’intreccio è decisamente cinematografico (infatti sono molto curioso di vedere quanto prima il film che ne ha tratto Salvatores), però, non so perché, continuo a non essere entusiasta del risultato finale, come se avvertissi che manca qualcosa, forse l’ambientazione della scena finale in “una notte buia e tempestosa” (sembra di leggere una strisca di Charlie Brown) ci suggerisce che Ammaniti qui gioca a fare il romanziere e ci rileva quanto sia, in effetti, artificiosamente costruito il romanzo, così come sono decisamente finti i compagni di scuola di Cristiano, tratti dai tanti luoghi comuni che definiscono i ragazzi tutti ossessionati dal consumismo e da falsi valori, con genitori egoisti e menefreghisti, insomma affiora un po’ di qualunquismo. Comunque, pur con qualche personalissima (sicuramente errata) riserva, alla fin fine un buon libro, ma non un capolavoro.
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anima pura
Dopo "ti prendo e ti porto via" e "io non ho paura", anche questo libro ha per protagonista una periferia squallida. poi, nel sottofondo di pioggia, o paludi infestate da zanzare, o caldo torrido della calabria, ecco che arriva il secondo protagonista. in tutti e tre i libri è un ragazzo. è l'anima ancora pura, inviolabile nonostante tutto ciò che la circonda, è il giorno abbagliante in mezzo a tutto il buio che si lascia vivere attorno a lui. e nonostante tutte le premesse ci siano per fare in modo che anche il ragazzo diventi un tutt'uno con il mondo a lui vicino, questa perla rara esce di soppiatto e si fa strada. nel corpo e nell'anima di chi sta' leggendo.
ammaniti ha un modo di scrivere splendido, affascinante e crudo come pochi. riesce a farti esser li, accanto e dentro queste anime pure.
prendi il libro e ti immergi in posti poco ospitali, in personalità disturbate che ti disturbano, entri nei pensieri di tutta la comunità e nulla ti scivola addosso.
ma come non amare l'anima pura? sfuggirne è impossibile, perchè vorresti esser li a dare un abbraccio a ciò che vorresti essere.
bravo. splendida storia (finalmente!!!) di amore fra figlio e padre. splendido epilogo e meravigliosa lezione di vita.
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ci piacciono le vite sbagliate
Nessun eroe, nessuna impresa, nessun grande amore ostacolato. Ci sono solo vite sbagliate: un psicopatico omicida, un inetto che si avvoltola nei fallimenti della propria vita, un assistente sociale che non sa neanche badare a se stesso, un padre che ama troppo, o troppo poco. Ecco le quattro bussole di Cristiano, il giovane protagonista, che nel pieno dell'adolescenza cerca una guida.
Ma ad ogni pagina ci si accorge di essere inesorabilmente attratti da tutto questo, che è sbagliato, sballato, eccessivo, basso...
Qualcuno si aspetta un vero lieto fine?
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Come Dio Comanda
Mi è stato regalato questo Natale, sinceramente ero abbastanza scettico sul fatto che potesse interessarmi, invece mi sono immediatamente ricreduto, si legge con grande facilità, il tema trattato è senza ombra di dubbio il "degrado" che sicuramente ci circonda nella vita reale ma non lo si percepisce così come l'autore ce lo propone, ossia con estrema semplicità. La lettura mi ha preso subito, con alternanze di situazioni tragicomiche e questo lo ha reso un libro per me estremamente piacevole. Profondo il legame tra Rino e Cristiano con un rapporto altalenante che sfocia comunque in un amore padre-figlio sempre presente.
Ricordo che si parla del Premio Strega 2007, scusate se è poco.
I miei più vivi complimenti ad Ammaniti.
Promosso e se ne consiglia la lettura a tutti.
Syd
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Come Dio comanda
Una storia dura da digerire, personaggi che portano con sé le sofferenza e la logica assurda di una società allo sbando. Amori malati e per proprio per questo profondi e veri. Il tutto, raccontato con una violenza verbale tale da lasciare iniziamente infastiditi anche gli affezionati lettori di Ammaniti. Se non fosse che, una volta delineati i contorni della vicenda e sempre più avvicinandosi alla conclusione, tutto assume un senso compiuto, in un crescendo di meravigliosa tragedia.
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Come Dio Comanda
Un periscopio dell’anima puntato su un quartetto simbolo del degrado social-provinciale. Questo Ammaniti deve aver molto amato il Riccetto di Pasolini come pure la buonanima di Bukowski, perché in Come Dio Comanda il periscopio è gestito sapientemente con occhio clinico ma mai cinico: lontano da logiche morali (ecco perché ricorda Compagni di Sbronze) indaga sulle cause e concause di destini irreversibilmente lesi. Così il violento e alcolizzato Rino Zegna ama suo figlio, di un amore incondizionato e ne è ricambiato con l’intensità che solo la solitudine dei disperati solleva; e Danilo ama sua moglie e l’idea di redenzione ad una nuova vita a costo della vita stessa e il “mostro” Quattro Formaggi ama Fabiana e l’idea di un amore tutto suo, fino ad ucciderla. Amori imperfetti e bastardi, dettati da un destino superiore, un “Dio superiore”. Non è una società da mulino bianco questa provincia di Ammaniti né la sede di una sunshine family. Sporcizia, violenza, disoccupazione, ostinata sopravvivenza. Eppure, come già ci aveva insegnato Pasolini, c’è poesia – ed ancor più sublime – negli emarginati, nei diversi, nei peccatori, nei reietti e c’è perdono ... anche per gli assassini.
Da leggere.
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Ragazzi di Vita di Pasolini
Solito grande Ammaniti
Ti prende per le orecchie e ti trascina nel gorgo paradossale, tremendo, grottesco, modernamente gotico degli Zena e del loro mondo periferico e cattivo. Il linguaggio ruvido e lo svolgimento non lineare trama, tipici di Ammaniti, riescono come sempre a sottolineare i caratteri dei protagonisti e della società dove (soprav)vivono
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Accordi e disaccordi
Vincitore del “Premio Strega” 2007, questo romanzo di Ammaniti ha suscitato, così come è accaduto per altre sue opere, discordanti reazioni tra il pubblico, la critica e persino tra i suoi più affezionati lettori. Per i suoi detrattori le accuse sono di troppa crudezza, di furbizia commercial- letteraria, di luoghi comuni accompagnati da un’ ovvietà insultante ed addirittura di dispersione di un capitale letterario giudicato già di per sé esiguo. Chi lo sostiene invece, invoca la sua singolare capacità di catturare il lettore fino a fargli “ vivere” la storia, l’empatia viscerale trasmessa dai suoi personaggi, la profondità inapparente, le suggestive ambientazioni, la magica fluidità della sua scrittura. Tra questi ultimi il regista Gabriele Salvatores, definendo il libro come un thriller mozzafiato e al tempo stesso come la storia di un incondizionato e assoluto amore tra un padre ed un figlio, ha recuperato il suo sodalizio artistico con lo scrittore dando il via, con entusiasmo, alle riprese della trasposizione cinematografica del libro.La storia si svolge nell’arco di sei giorni a Varrano, un piccolo centro abitato del Nord-Est italiano, affondato in una estesa piana dove si stratificano diverse realtà e dove, tra abitazioni urbanamente degradate e capannoni industriali, serpeggiano tangenziali trafficate, villette e centri commerciali fulcro di sfrenato consumismo.Nello squallore di una periferia desolata si snoda la storia dei protagonisti. Qui troviamo Rino Zena, disoccupato, naziskin, dedito all’alcool ed alle risse ma animato da un grande amore verso il figlio che educa a modo suo, dopo l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie quando il ragazzo era ancora in tenera età. Con lui, in un insieme di regole violente e di slanci affettivi che come risultato ultimo portano ad un legame solido ed indissolubile, sotto un poco accurato controllo dei Servizi Sociali, cresce Cristiano, tredicenne, alto e dinoccolato, travolto da una vita inadatta al suo corretto sviluppo, ma consapevole di poter contare solo sulla figura paterna per scorgere un accenno di certezza e sicurezza, presente e futura.Gli unici amici di cui padre e figlio dispongono sono Danilo Aprea, anch’egli abbandonato dalla moglie dopo la tragica perdita della figlioletta, un uomo distrutto dagli alcolici e dai sensi di colpa e Corrado Rumitz, detto Quattro Formaggi a causa della passione per l’omonima pizza, un sopravvissuto alla morte da fulmine che gli ha lasciato pesanti strascichi mentali. Quest’ultimo darà vita ad un controverso personaggio capace di suscitare nel lettore un turbine di sentimenti contrastanti che vanno dall’empatia alla pietà fino al disgusto e all’orrore.Intorno alle figure principali si muovono quelle comprimarie tra cui spiccano Beppe Trecca, un assistente sociale un po’ fuori norma, follemente invaghito della moglie del suo migliore amico e le due adolescenti Fabiana ed Esmeralda, compagne di scuola di Cristiano, ragazzine viziate e un po’ sbandate, provenienti da situazioni familiari differenti, realisticamente delineate. In una notte di pioggia battente e di apocalittici temporali, una notte in cui la pazzia del quotidiano cresce a dismisura espandendosi in pura follia fino alla potenza distruttiva di un tragico epilogo, le loro vite si intrecciano fino a confluire, insieme all’acqua ed al fango, nello schianto di un inferno senza ritorno.E per giustificare i propri atti, le proprie debolezze, gli errori commessi, ecco che, dimenticando la potenza del libero arbitrio, si invoca un Dio che possa prendere in mano esistenze diventate ingestibili a causa di eventi considerati volontà divina ( Dio, perché mi hai fatto questo?”), un Dio che possa anche essere consolatorio alla disperazione, un Dio capace di ribaltare le situazioni umane rimettendo a posto i pezzi scompigliati di quel grande puzzle che è la vita , sopraffatta dal caso e dalle scelte individuali. Con una prosa chiara ed efficace, condizionata da un vertiginoso ritmo che richiama un susseguirsi di immagini cinematografiche, televisive e fumettistiche, in un connubio di tragedia e commedia così conforme alla vita concretamente vissuta, le varie storie parallele che si attorcigliano incalzanti, catturano ed avvolgono il lettore in una frenetica corsa che lascia senza fiato e che non concede modo e volontà di fermarsi fino al raggiungimento del finale. E sarà proprio a questo punto che si aprirà, come da una porta dischiusa sul futuro, l’impercettibile bagliore di una fede invocata che, lacerando il buio, illuminerà di una tenue speranza i superstiti di un’assurda notte, accordando loro il privilegio di poter credere ancora.
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come dio comanda
un testo terribilmente inutile, una forma che si involve su se stessa, compiaciuto e sardonico, voglio pensare, l' autore di un bel romanzo come "ti prendo e ti porto via" mi delude assai. Siamo alla laurea presa con cepu o vinta nelle patatine.
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Un mondo di sconfitti
Nella solitudine di una stanza, tra le mani il libro di Ammaniti, avverti intorno a te la presenza di Rino e Cristiano Zena, vedi i muscoli tatuati dell’uno ed i capelli crespi dell’altro, senti Quattro Formaggi parlare a scatti e nell’aria l’odore dell’ultimo goccio di grappa appena trangugiato da Danilo Aprea. Sono tutti là, non ti lasciano neanche quando chiudi il libro e ti appresti a trascorrere la tua serata in compagnia.
Creature che si materializzano nella tua mente, nella tua stanza e non vanno via neanche cacciandole in malo modo. Ti rimangono dentro per la loro tristezza, per la loro grande, infinita debolezza celata nelle esplosioni di rabbia di Rino, nei silenzi sofferti di Cristiano, nell’ingenua follia di Quattro Formaggi, nell’ansia di riscatto di Danilo.
Personaggi sconfitti in partenza dalla vita, che se la vita non ha ancora abbattuto totalmente, ci pensano loro a fare il resto. Un senso di impotenza, di ineluttabilità ti accompagna per tutta la lettura e non c’è spazio per la speranza, neanche dopo la parola Fine.
In nessun modo le loro vite deviate possono ritrovarsi sul sentiero della ricerca della felicità, perché è una strada, una possibilità, loro bandita. Nemmeno l’amore, in tutte le sue forme (padre-figlio, verso una donna, verso un amico) si rivela condizione sufficiente per la salvezza.
Non è solo inettitudine, per quanto il romanzo ci regali esempi di mediocrità umana perfettamente riusciti, come Beppe Trecca. Forse è inadeguatezza, incapacità di adattarsi, aggravate da una forza sovrannaturale e beffarda che pilota le vicende, il destino.
Ammaniti riesce ad insinuare un senso di irreversibile angoscia anche nel lettore più spensierato, lasciandogli in bocca e nell’animo un’amarezza sapientemente acuita da una scelta di brani musicali a scandire le vicende, colonna sonora egregiamente orchestrata dallo scrittore.
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