Anna
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La vita non ci appartiene, ci attraversa
Ebbene sì, non avevo ancora letto "Anna".
Dopo il suo recente ultimo libro, che mi ha lasciato un po' tiepida, avevo bisogno di ritrovare l'Ammaniti che piace a me, quello che sa graffiare ed emozionarmi, quello capace di esorcizzare il tragico con un'ironia sferzante, spesso grottesca, quello impagabile nel dare voce agli adolescenti e alle miserie degli ultimi, di coloro che sono sempre ai margini di qualcosa.
Qui siamo proprio ai margini del mondo, o meglio... ai margini dell'umanità.
Sicilia 2020, il mondo è stato devastato da una pandemia, "la rossa", che ha sterminato tutti fatta eccezione per i bambini, nei quali il virus rimane latente fino alla pubertà.
Chissà che effetto mi avrebbe fatto leggere di una pandemia nel 2015, ovvero quando il romanzo è stato (profeticamente) scritto, quando ancora certe cose potevano accadere solo nei libri, distopici per giunta!Oggi conosco troppo bene la portata di questa parola e tutto ciò che ne consegue, e questo ha sicuramente influito sul mio coinvolgimento emotivo.
Ciò che un tempo avrei definito "fantascienza", adesso non mi sembra poi così assurdo e devo ammettere di aver provato una quasi imbarazzante sensazione di sollievo, pensando che "poteva andare peggio di così".
Tante critiche sono piovute su questo libro a causa delle cose in comune con la "La strada" di McCarthy, ma ad essere sinceri, se proprio vogliamo trovare una somiglianza, questa inizia e finisce nell'ambientazione "post-apocalittica".
Non riesco a metterli a confronto in quanto viaggiano a livelli di profondità completamente differenti, con stili molto diversi.
Quello di McCarthy, per me, è un libro intoccabile. Il Libro. Intriso di una malinconia struggente, senza eguali.
Questo di Ammaniti è invece un ottimo romanzo, che porta con sé la cifra stilistica di Ammaniti che riesce a fare sua una tematica non nuova, dimostrandoci ancora una volta la sua grande capacità di entrare nella testa dei ragazzini.
In "Anna" si sente forte la voglia dell'autore di provare ad immaginare un mondo di bambini privati della presenza degli adulti, e quindi anche del loro condizionamento.
Ce ne aveva dato un piccolo assaggio già in "Io e te", presentandoci un ragazzino che si autoisolava dal mondo dei grandi, che (s)fuggiva dalle loro regole.
Qui porta all'eccesso questa intenzione, la estremizza fino a mettere su carta una sorta di esperimento sociale: un'infanzia allo stato brado, dove le regole del passato non valgono più.
Con il suo stile crudo, e senza mai cedere troppo il passo al dramma, Ammaniti ci mette di fronte allo scardinamento di tutte le sovrastrutture sociali e ci consegna un mondo desolato, brutale, violento, inselvatichito, in cui coloro che, da sempre e per sempre, sono il simbolo dell'innocenza, manifesteranno ben presto il loro lato selvaggio, primordiale, alternando picchi altissimi di umanità a livelli di ferocia inauditi.
In mezzo a tutto lo sfacelo, Anna riesce ancora ad emozionarsi, ad amare, a vivere sprazzi di "normalità", di un'adolescenza che le è stata strappata.
In mezzo alle barbarie messe in atto per poter sopravvivere, c'è ancora chi mostra atti di altruismo, di generosità.
In un mondo dove tutto è ridotto a puro istinto, le bestie, quelle vere, brillano di una luce ineguagliabile, portatori sani di amore e speranza.
Ed è proprio con quest'ultima che Ammaniti ci lascia.
Un'allegoria della speranza, forse un po' infantile, forse troppo ingenua, ma proprio per questo pura: il miglior finale che potesse scrivere per questa storia.
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Anna non molla
Lo scenario di una Sicilia irriconoscibile, un ammasso di rovine retaggio di un'epidemia che ha distrutto il mondo civile fa da sfondo alle peripezie di Anna, ragazzina costretta ad arrangiarsi per sopravvivere. Niccolò Ammaniti, in versione distopica, è un bel leggere, dopo una partenza dignitosa ma non proprio trascinante l'autore romano prende slancio raccontando di un mondo imbarbarito, in cui Anna è suo malgrado la depositaria di una memoria storica destinata all'oblio (i ragazzi infatti, in genere, non vivono più di quattordici anni), mentre il suo lottare quotidiano è un inno alla speranza. Una promessa alla madre morente e l'istinto di sopravvivenza unito alla diceria che in "continente" qualche adulto sia scampato alla morte e abbia pronto un vaccino, sono i motori che azionano muscoli e cervello per non mollare in un panorama in cui la natura rigogliosa fa da impietoso contraltare alle miserie umane. Le regole scompaiono ma i sentimenti resistono, quelli che guideranno Anna in un percorso di formazione ora violento, ora dolcissimo, caratterizzato da prepotenti aperture nostalgiche in cui la scrittura di Ammaniti si fa più toccante che mai. Sicuramente il paragone con pietre miliari del genere tipo "La strada" di McCarthy, "Io sono leggenda" di Matheson o con "Il signore delle mosche" di Goldwin sono pertinenti, ma Ammaniti riesce a far sua una tematica abusata riuscendo a dare credibilità alla sua visione apicalittico/prepuberale, per poi trovare spunti avvincenti e crudi, come nello straordinario e barbarico caos della Festa del Fuoco, o commoventi e introspettivi, come nelle pagine ambientate a Cefalù, in cui il destino più vile sembra dileggiare la bellezza delle spiagge e del mare.
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Da Grandi ci si ammala
Premetto che alcuni romanzi di Ammaniti (Ti prendo e ti porto via, come Dio comanda, che la festa cominci ecc..) li ritengo eccellenti sia per stile che per contenuto. Questo autore riesce a descrivere eventi drammatici e tragici con crudezza, senza mai scadere nel volgare o nel fastidioso (soprattutto nei racconti). In questo romanzo la protagonista assoluta è Anna, ragazzina tredicenne. Nella Sicilia (e nel globo) del 2020 si è diffuso con violenza un virus letale che ha decimato la popolazione adulta. Soltanto i bambini sono immuni all’epidemia (definita "La rossa"). Ma appena questi ultimi divengono adolescenti cominciano ad avvertire i sintomi della malattia, presente all’interno del loro organismo, che si svilupperà inevitabilmente con la crescita, portandoli allo stesso destino di morte già riservato ai loro genitori. Anche il padre e la madre di Anna hanno subito questo repentino decorso. Negli ultimi giorni di vita la madre fornisce la figlia di un quaderno con le "Cose utili" facendo promettere ad Anna due cose: badare e fungere da baluardo al fratello minore Astor ed insegnare a leggere allo stesso. La ragazzina viene investita di queste responsabilità, ed in mezzo ad un mondo sempre più devastato e preda della natura, cerca di sopravvivere procurandosi con fatica il cibo, nascondendo se stessa ed il fratello nella casa materna. In questo contesto accade un evento drammatico che induce Anna a lasciare il proprio rifugio: il rapimento di Astor da parte di una banda (di altri adolescenti) che "raccoglie" i bambini per condurli . La ragazza parte immediatamente alla sua ricerca, legata al giuramento fatto alla mamma morente. Si trova in panorami da dopo bomba, tra edifici in disfacimento, strade disastrate, personaggi morenti e pericoli. In questo viaggio viene affiancata da un cane che si rivelerà una sorta di angelo custode (ispirato a London come affermato dallo stesso autore) e da Pietro. Questi è un coetaneo il cui scopo è riuscire a trovare delle scarpe di una determinata marca che avrebbero poteri taumaturgici sinanche a scofiggere "La rossa". In questo viaggio ci si emoziona e ci si immedesima. Si fa il tifo per questa bambina obbligata a crescere e che, con coraggio indomito, affronta pericoli e si getta nelle situazioni più difficili. Il contesto non si limita al tipico racconto fantascientifico, si va molto al di la del romanzo di genere. Folgorante l'incontro con un gruppo di bambini così piccoli da non essere in grado di utilizzare il linguaggio, con una regressione agghiacciante allo stato semi animale. Al termine del libro non si può non essersi affezionati alla protagonista: unico neo il finale aperto; l'idea di base è buona, dovrebbe essere sviluppata proseguendo l'avventura di Anna anche in altri episodi. Questo testo sembra infatti quasi preparatorio per un ciclo epico moderno che francamente se non arricchito risulterebbe incompleto.
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La vita non ci appartiene, ci attraversa.
Anna, Anna.. povera picciridda.. ha solo 13 anni ma è già grande in un mondo in cui i grandi non esistono più, sterminati dalla Rossa, un virus che non lascia via di scampo perchè nel giro di pochi giorni maschi e femmine in età adulta, una volta infettati, muoiono oppressi da tosse, febbre e piaghe epidermiche.
Nessuno sembra poterne sfuggire: il virus, diffusosi dall'Europa in tutto il mondo, ha determinato la morte di tutti gli esemplari umani al di sopra dei 16 anni lasciando così il mondo nelle mani di bambini e ragazzi poco più che adolescenti e comunque destinati ad una morte imminente, se un antidoto non venga scoperto per tempo.
E anche la Sicilia, terra natia di Anna, nonostante il suo isolamento geografico, non è esclusa da questo scenario catastrofico in cui Anna cercherà di sopravvivere, conscia del poco tempo che le resta a disposizione, e con l'ulteriore fardello di dover proteggere il fratellino Astor di soli 6 anni: è un obbligo a cui non può sottrarsi, anche perchè è l'ultimo desiderio espresso dalla madre prima di morire ed Anna non può assolutamente deluderla.
Anche senza dilungarsi ulteriormente sulla trama, ciò che incuriosisce subito chi ha comunque avuto modo di conoscere Ammaniti in altri suoi libri è proprio l'originalità della trama se paragonata a quella dei suoi romanzi precedenti.
Forse si potrebbe azzardare un paragone col libro 'Che la festa cominci', dove la ribellione degli uomini-talpa ha un'intonazione apocalittica, seppure la deflessione sarcastica e pungente che assume poi il racconto ridimensiona la drammaticità di quell'evento sfociando verso il grottesco e surreale.
"Anna" rimane comunque un caso isolato nella bibliografia di Ammaniti e peraltro induce nel lettore una sensazione inequivocabile di deja-vu se si pensa ai romanzi di McCarthy, 'Il signore delle mosche' di Golding, 'Io sono leggenda' di Matheson e, perchè no, Cecità di Saramago; e potrei citarne tanti altri perchè effettivamente gli spunti non sono pochi.
E' quindi da ammirare, secondo me, il tentativo dell'autore di districarsi in questo genere così abusato cercando di far emergere qualcosa che sia percepito come nuovo, diverso.
E credo che lo scopo sia stato in parte raggiunto facendo leva soprattutto sull'escamotage di ambientare la catastrofe in una regione come la Sicilia, per noi più familiare e vicina, piuttosto che la stragettonata landa americana o l'altrettanto scontato contesto della grande metropoli europea.
Insomma, fa un certo effetto se al posto della 'strada' di McCarthy troviamo qui l'autostrada Palermo-Messina, divenuta raccordo arido e desolato tra i ruderi di quelli che una volta erano borghi ridenti e città accoglienti come Cefalù o Torre Normanna.
'Chiuse gli occhi e cercò di immaginare come doveva essere Cefalù fino a pochi anni prima. I turisti che scendevano dai pullman con le macchine fotografiche, i tavoli apparecchiati con tovaglie a scacchi, i camerieri con la salvietta sul braccio e in mano le bistecche con l'insalata, le orchestrine che suonavano sul lungomare accanto ai neri che stendevano le loro borse sui marciapiedi. I pedalò sul bagnasciuga. I ragazzi che giocavano a pallavolo sulla sabbia.'
Anche Anna, la protagonista, seppure ancora ragazza, riflette nel suo personaggio i tratti tipici di una 'femmina siciliana', dalla tempra forte, cocciuta, tanto più energica e combattiva quanto maggiori sono le difficoltà che le si abbattono contro o mettono in pericolo la vita delle persone che ama.
'Dopo la morte dei suoi genitori era precipitata in una solitudine così sconfinata ed ottusa da lasciarla idiota per mesi, ma nemmeno una volta, nemmeno per un secondo l'idea di farla finita l'aveva sfiorata, perchè avvertiva che la vita è più forte di tutto. La vita non ci appartiene, ci attraversa.'
Anna è la reincarnazione dello spirito della madre, è la depositaria del 'quaderno delle cose importanti' che la madre le ha lasciato in eredità e che lei custodisce come un tesoro prezioso perchè è l'ultima reliquia del mondo degli adulti, l'ultima traccia di una società fatta di regole, limiti, leggi da rispettare la cui assenza ora è più pericolosa e mortale dello stesso virus.
Per questo Anna è l'unica eroina positiva del romanzo, tutti gli altri, i bambini, sono personaggi negativi, a dimostrazione che abbandonati a sè stessi, senza educatori più o meno severi e senza obblighi da rispettare, sviluppano rapidamente un'indole cattiva e malvagia, manifestando comportamenti brutali ed animaleschi che portano poi all'affermazione della logica del branco.
Lo so, avete ragione e non posso certo darvi torto: c'è molto di Golding in tutto ciò.
Nel romanzo di Ammaniti, però, la visione pessimistica di Golding - per cui non è la società a corrompere l'uomo ma è l'uomo stesso, per sua natura, fondamentalmente 'cattivo' - è solo abbozzata, sfiorata, manca di profondità.
E credo sia questo il limite maggiore del romanzo: l'evento catastrofico rimane quasi fine a se stesso, un semplice pretesto per un racconto fanta-avventuroso senza ambizioni retoriche o di denuncia. E' a malapena percepibile il monito verso l'umanità che invece risuona forte tra le pagine di romanzi come Il signore delle mosche o Cecità di Saramago.
In compenso, Ammaniti sicuramente non lesina in parole nella descrizione degli stati d'animo che scombussolano la ragazzina costretta a barcamenarsi in un mondo divenuto improvvisamente ostile tanto da rendere un'impresa ai limiti del possibile la sopravvivenza quotidiana.
Paura, dolore, ansia, vendetta, sconforto ma anche amore, quello innocente, appena sbocciato per Pietro e subito consumato, annientato: in un mondo in cui la vita si è abbreviata drasticamente anche i sentimenti si susseguono e si esauriscono rapidamente.
'Alla fine non conta quanto dura la vita, ma come la vivi. Se la vivi bene, tutta intera, una vita corta vale quanto una lunga. Non credi? La mano di Anna scivolò sotto la coperta e cercò quella di Pietro. La strinse, e con il pollice gli carezzò le dita.'
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non importa
Il romanzo termina con queste due parole "non importa". Finale terribile e sconsolato.
Adoro lo stile di Ammaniti crudo e diretto come una folata d'aria gelida in pieno volto, ma avendo letto recentemente "La Strada" di McCarthy, pagina dopo pagina, mi sembrava di immergermi in un dejavu costante. Con angoscia annessa. Il fatto che i sopravvissuti siano solo bambini, non fa che aumentare la sensazione di impotenza e rabbia.
Anna col suo fratellino assieme a Coccolone e Pietro proveranno a raggiungere il continente con la speranza che i Grandi siano ancora vivi. Anna e il suo modo di vivere pragmatico, Pietro con la sua pazienza e Astor con la sua ingenuità, attraverseranno la Sicilia tra i resti della civiltà e una natura che prova a rinascere.
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E quindi?
Una misteriosa e terribile epidemia uccide tutti gli adulti (del mondo?), lasciando i bambini - e con loro l'umanità - regredire ad uno stato violento e selvaggio, in cui rimane solo il peggio del mondo creato dagli adulti ormai estinti. Seguiamo Anna e il suo fratellino mentre imparano a gestire la morte e la sopravvivenza, ma anche l'amicizia e i rapporti umani.
Ammaniti riempie questo scenario apocalittico di scene macabre e violente, descrizioni crude e personaggi al limite dell'assurdo. Eventi si susseguono con un ottimo ritmo di narrazione, lasciando il lettore in attesa di 'qualcosa'. Solo che questo qualcosa non arriva mai. Molte scene, soprattutto quelle più violente, sembrano spesso fini a se stesse, ad appagare il gusto splatter al quale Ammaniti ha abituato i suoi letteori (ma che inizia ad essere ripetitivo e stancante). Tolta la dimensione violenta, rimane ben poco alla narrazione e ci si rende conto ben presto che la trama della storia è piuttosto povera e inconsistente. Fatta eccezione per alcune buone parentesi, come ad esempio la 'relazione' fra Anna e Pietro, la sensazione con cui le varie sezioni del libro mi hanno lasciata è stata uno sconfortante "e quindi?".
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Tre
Non so cosa abbia causato l’epidemia, ma l’epidemia ha cambiato tutto.
Il mondo di Anna si chiama Sicilia, una Terra ormai ricoperta di ruderi e rifiuti, dove la natura torna ad avere il sopravvento avvolgendo con vigorose radici le distese di cemento umane.
Anna e’ una bambina piccola, che nel soffio di pochi giorni si rende conto di dovere essere grande. E il buio non fa piu’ paura, il cibo un problema inevitabile, il quaderno scritto da mamma una Sacra Bibbia, il fratellino un obbligo un impegno tutto quello che le resta.
Anna e’ la forza bruta nel corpo esile, e’ la battaglia fino all’ultimo morso , fino all’ultima bastonata . E poi quell’istante in cui si avvicina al corpo martoriato del nemico, non un colpo di grazia, Anna unisce le manine a coppa e offre l’acqua e la vita.
Intorno ad Anna i sipari si tingono di ruggine e grottesco, ma in fondo umana e’ l’esagerazione, la cattiveria, la prevaricazione di cui nemmeno i bambini sono immuni, quando crescono troppo velocemente.
Di ritmo serrato e ipnotico, vivace e verace e’ la Bic di Ammaniti che compie il suo mestiere narrativo donando all’autore un’aura di ubiquita’. Che ci sia e’ indubbio, ma in realta’ e' altrove, l’unica presenza concreta sta nella storia e nei suoi protagonisti.
L’ambientazione post apocalittica che di norma istiga al paragone, in questo caso non mi ha toccata se non in questa fase di riflessione. Di tutt’altro genere dalla scrittura raffinata e dal clima cupo del famoso McCarthy, piu’ sentimentale e intimo delle piacevoli fiction alla Justin Cronin, trovo che Anna sia fine a stesso e non emulando non tema paragoni .
Anna stringe una stella nella mano fino ad escoriarsi, non sapeva cosa volesse dire amare, ma in quei graffi pulsa la consapevolezza del dolore di perdere l’amore.
Il bambino in fondo le vuol bene, il grosso maremmano e’ un pazzo, un fenomeno, un indomito.
“Quasi quasi me lo sposo.”
Buona lettura.
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la Sicilia, Anna e Astor
Il libro è ambientato in una Sicilia apocalittica, dove gli unici sopravissuti sono i ragazzi al di sotto dei 14 anni. I protagonisti della storia sono Anna e suo fratello Astor, che cercano di salvarsi dall'epidemia che ha ucciso uomini e tutto il resto cercando di raggiungere la Calabria partendo da Torre Normanna. C'è la descrizione dei paesaggi apparentemente spettrali e abbandonati e c'è soprattutto la costanza e la determinazione di Anna a essere predominante in questa storia.Nel viaggio ci sono altri bambini che percorrono le strade deserte con Anna e Astor. C’è Coccolone, un cane che non muore mai, e poi ci sono tutte le cose che ci sono nella vita: la morte, la malattia, la paura, i ricordi dolorosi, l’assenza,l'innamoramento etc. Concludo estrapolando un passaggio in cui si evidenziano le peculiarità di Anna(p141)
...""Anna, nella sua inconsapevolezza, intuiva che tutti gli esseri di questo pianeta, dalle lumache alle rondini, uomini compresi, devono vivere. Questo è il nostro compito, questo è stato scritto nella nostra carne. Bisogna andare avanti, senza guardarsi indietro, perché l'energia che ci pervade non possiamo controllarla, e anche disperati, menomati, ciechi continuiamo a nutrirci, a dormire, a nuotare contrastando il gorgo che ci tira giù""
Ammaniti si conferma abile narratore, romanzo scorrevole
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Orizzonti di dolore
Il libro si apre con uno scenario apocalittico, da fine del mondo. E’ ambientato in una Sicilia devastata da un’epidemia, diventata spenta, vuota, grigia, silenziosa, pericolosa. Una distesa di cenere senza cibo né acqua. I protagonisti sono due bambini che intraprendono una lotta per la sopravvivenza. Il piccolo, inconsapevole e a modo suo gioiosa e giocosa. La grande, tutta volta a proteggere il fratellino dimostrando una forza ed un carattere che stupisce. Con l’aiuto di una guida che è il quaderno delle Cose Importanti, che la loro mamma le ha lasciato per dare loro ancore nei momenti di difficoltà. Bellissimo il rapporto fra i due fratelli, pieno di tenerezza e di vita. Pieno d’amore il simbolo di questo quaderno, con cui la mamma li vuole continuare a poter aiutare. Di rilievo anche due personaggi minori che Anna e Astor incontrano, il cane maremmano e Pietro, due amici fra gli orizzonti di dolore che si aprono in questa terra devastata, due boe che aiutano a contrastare il gorgo della vita che spesso ci tira giù in fondo in fondo. La piccola Anna suscita dolcezza e scalda dentro perché, così piccola, capisce troppo presto che l’amore è mancanza, che quando c’è da gioire la sua assenza diventa più dolorosa, che la vita è un insieme di attese, che la vita non ci appartiene, ma ci attraversa e che anche nelle piccole cose, come una scarpa, a volte occorre sperare per trovare la forza di camminare.
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Anna - e dei tuoi occhi così belli spalancati sul
Quante volte da piccoli ci è capitato di essere rimproverati per aver visto troppa televisione o per aver continuato a giocare a letto anche se era ora di dormire. Quanti nostri piccoli capricci ci sono stati rimproverati e tutte le volte abbiamo desiderato che i Grandi non ci fossero più. I desideri finalmente si realizzano ma invece di trasformarsi in un meraviglioso sogno, ci si risveglia nel peggiore degli incubi.
Come sarebbe il mondo governato solo da bambini e senza una guida adulta? Tutto zucchero e miele o morte e violenza?
Sono queste le domande che mi sono posto mentre leggevo. Un romanzo crudo ed inquietante sotto alcuni aspetti e ricco di allegorie che nella mente devo ancora decifrare del tutto. Anna e il suo fratellino, rappresentano speranza? Futuro?
Per alcuni versi, questo racconto, mi ha ricordato La Strada di Cormac McCarthy facendomi provare le stesse sensazioni, anzi Anna ha un ritmo decisamente migliore.
Uno di quei libri che si legge tutto d'un fiato, non solo perché è di poche pagine, ma soprattutto perché la storia è molto interessante e soprattutto lo è il modo in cui è stata presentata.
Mi domando quale messaggio ci offre l'autore. Sicuramente una percezione del futuro diversa dalla nostra, direi persino inesistente. Ogni giorno è un giorno a se o dobbiamo tenerlo stretto, viverlo al massimo e con le persone che amiamo.
Per farla breve, un altro gran bel libro di Ammaniti.
PS: proprio ieri trasmettevano "Io sono leggenda". Indovinate come si chiama la ragazza, accompagnata dal suo piccolo fratello, che salva Will Smith dall'orda di zombie?
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Jose Saramago - Le Intermittenze Della Morte
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Viaggio nella terra desolata
“È la cronaca nuda e cruda dell’Apocalisse [....] . Ma Pietro non sapeva cosa fosse l’Apocalisse.
-È quando muoiono tutti perché Dio ha detto stop. Vi ho dato un gioco e voi lo avete rotto. Vi ho dato un pianeta bellissimo e voi lo avete ridotto una merda.”
In queste parole è uno dei temi dominanti dell’ultimo romanzo di Niccolò Ammaniti, un romanzo che procede per antitesi, ponendo a confronto la vita e la morte, lo spirito e la materia, la bellezza e la devastazione. A una Sicilia che conserva panorami mozzafiato e ambienti naturali incontaminati
si contrappone un’isola colpita da un virus letale che ha seminato morte e distruzione. Tra cadaveri in putrefazione, mucchi di immondizie, negozi saccheggiati, automobili abbandonate, Anna intraprende il suo viaggio con il fratellino Astor e il cane Coccolone, alla ricerca di un luogo sicuro, non infestato dal virus, col solo aiuto di un quaderno di istruzioni lasciatole dalla mamma prima di morire. Di fronte alla morte Anna reagisce con forza e coraggio. Della madre tenta di portare con sé parte del suo scheletro, pur rendendosi conto che l’essere umano diviene mera materia, nel momento in cui l’anima l’abbandona. È consapevole Anna che la sua vita terminerà nel momento in cui diventerà donna, perché il virus colpisce solo gli adulti. Ed è questo l’altro tema dominante del romanzo, la contrapposizione tra l’innocenza dell’infanzia e la contaminazione dell’età adulta.
E tuttavia, é la storia stessa in sé, nel suo complesso che ci induce a pensare che il mondo, comunque, non può sopravvivere senza gli adulti, unici garanti del perpetuarsi del ciclo vitale.
In questo viaggio drammatico durante il quale si alternano esperienze spaventose e raccapriccianti a momenti di tenerezza, Anna conosce il primo sentimento d’amore per Pietro. “[.....] Adesso capiva cos’era l’amore, quella cosa di cui si parlava tanto nei libri della mamma. L’amore sai cos’è solo quando te lo levano. L’amore è mancanza.”
Il tempo vissuto da Anna sembra espandersi, le ore, i giorni, i mesi, sembrano amplificarsi nei suoi lunghi interminabili viaggi a piedi su sentieri, strade, autostrade, fino alla conclusiva traversata dello stretto che dovrebbe consegnarla a un mondo migliore. Anna vuole con la sua forza e la sua determinazione essere la celebrazione della forza stessa della vita.
Il tema del romanzo non é certo nuovo nella storia della letteratura, nella fattispecie nella letteratura straniera, come ne “Il signore delle mosche” di William Gerald Golding.
La prosa di Ammaniti colpisce talvolta per la crudezza delle immagini che evocano contenuti “pulp”.
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Anna, Pietro, Astor e Cucciolone vs la "rossa"
Chi conosce le opere di Niccolò Ammaniti è ben consapevole delle tematiche care all’autore nonché delle ambientazioni che sono più vicine ed amate dallo stesso. Con “Anna” lo scrittore abbandona, almeno in parte, quelle argomentazioni che siamo soliti conoscere per abbracciare uno scenario dispotico e dunque prossimo agli scritti di quel genere.
Anno 2020, il mondo è stato raso al suolo dalla “rossa”, un virus letale a cui solo i bambini (finché restano tali) sono immuni; tutti gli adulti che ne vengono colpiti non hanno possibilità di salvezza, il loro destino di morte è inequivocabile. Anna Salemi è nata il 12 marzo 2007 da Maria Grazia Zanchetta e da Franco Salemi, Astor è suo fratello minore e come lei è sopravvissuto, almeno per ora, all’epidemia. Quando i genitori dei ragazzi muoiono, la giovane ha soltanto 9 anni mentre il piccolo 4. Palesi sono le sorti dei protagonisti di questo universo; allo sviluppo fisico e alla conseguente maturazione, segue inevitabile il decesso dettato da quell’agente patogeno che è già insito nei fanciulli ma che solo al raggiungimento dell’età adulta si manifesta. Vita stimata? Quattordici anni.
La ragazza vive alla giornata con la responsabilità del bimbo; ogni giorno infatti si avventura tra i resti di quella civiltà che è stata spazzata via alla ricerca, tra cadaveri e macerie, di viveri e beni di scambio, scampando agli agguati dei gruppi di bambini armati e senza remore, agli animali incattiviti dalla fame, fuggendo dagli sciacalli pronti a tutto pur di restare in vita, per poi fare ritorno dalla sua famiglia e cercare di fornire al giovane quegli strumenti necessari (quali il saper leggere) che, una volta solo (la sorella ha già tra i tredici e i quattordici anni), dovrà sfruttare per essere in grado di cavarsela in quella che è la loro realtà.
Pietro è un altro sopravvissuto, come la donna ha dovuto imparare ad esistere adattandosi e accontentandosi del mero fatto di non essere ancora stato vinto dalla “rossa” quindi non si stupisce della iniziale diffidenza della compagna. Tra i due nasce pian piano un rapporto di fiducia ma anche di affetto, per lei rappresenta il ritrovamento di quella che un tempo era la normalità nonché la scoperta del primo amore. Se in passato per la Salemi il silenzio era accogliente e quotidianità senza lui è opprimente, intollerabile. Il loro destino è segnato ma il giovane le ricorda che bisogna sempre credere in qualcosa e che perfino quest’ultima ha una ragione per cui lottare, un obiettivo che la sprona ad andare avanti e in cui confida. Persino coccolone, nonostante il suo passato di cane maltrattato e cresciuto nella violenza, è sinonimo di rinascita e di speranza per il trio.
Stilisticamente parlando il romanzo è preciso e lineare, è caratterizzato dall’immancabile penna di Ammanniti ed è capace di soddisfare la curiosità del lettore che, pagina dopo pagina, si immerge sempre più in questo universo rocambolesco e alla deriva. Seppur il testo abbia un inizio un po’ sottotono rispetto ai componimenti celebri del narratore, dopo la prima cinquantina di pagine riemerge dalle sue stesse “ceneri” per appassionare ed incuriosire chi legge tanto che diventa impossibile staccarsi dal medesimo.
La difficoltà che ho riscontrato è stata nell’associare la Sicilia alla catastrofe, nota che stona un po’ nella lettura, soprattutto nel suo principio. Probabilmente l’avrei ugualmente rilevata anche con altre location o chissà forse questa perplessità è stata dettata dall’assenza di un carattere di originalità in quelle ambientazioni ormai proprie del letterato, fatto sta per mio modesto giudizio il componimento avrebbe funzionato pur senza specificare nel dettaglio il luogo in cui le avventure di questi giovani eroi si sviluppano. Sarebbe stato sufficiente anche semplicemente individuarle, ad esempio, nello Stato di provenienza, né più né meno. Vero è anche che probabilmente lo stesso ha optato per una identificazione distinta per munirlo di concretezza, per far si che fosse percepito come tangibile.
Comunque, a parte queste piccole sfumature ed il mio scetticismo iniziale determinato dal fatto che tanti autori si sono conformati a queste acclimatazioni catastrofiche, “Anna” si fa amare e sentire, il lettore non è immune dal suo fascino ed anzi si fa accarezzare da questa esistenza precaria ed allo sbando.
Vi lascio con un breve incipit:
«Ma adesso il buio la soffocava, le premeva addosso, e in combutta con il silenzio la tramortiva. Ottuso e compatto, penetrava in ogni angolo, in ogni interstizio, in bocca, nei buchi del naso, nei pori della pelle. A volte calava così veloce che non avevi neanche il tempo di organizzarti, altre arrivava piano, si mischiava con la luce, insanguinava il sole e lo condannava a scomparire in fondo alla pianura. [..] Con il tempo imparò a non averne paura, ci si immergeva certa che ne sarebbe riemersa. [..] Nuvole o pioggia, freddo o caldo, il buio, prima o poi, perdeva la sua quotidiana battaglia con la luce»
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