A ciascuno il suo A ciascuno il suo

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    10 Agosto, 2018
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Unicuique suum

“A ciascuno il suo”, romanzo di Leonardo Sciascia pubblicato nel 1966, ricorda, per certi aspetti, un giallo: c'è un iniziale duplice omicidio, c'è la figura di un protagonista, il professor Laurana, che si mette ad indagare su ciò che è successo. Il mistero si dipana lentamente nel corso della narrazione, ogni tassello si incastra nel punto giusto perché sia chiaro e risolto l'enigma: eppure il lettore rimane in ben altro stato d'animo rispetto a quello che gli può provocare la tranquilla e rassicurante lettura di un giallo classico.
Ci troviamo davanti ad una vicenda d'invenzione, eppure sembra di trovarsi proprio di fronte ad un fatto reale o che potrebbe senz'altro essere accaduto. Penso che sia questo che dà forza al testo e riesce a sconvolgere il tranquillo lettore, magari abituato anche a dilettarsi con situazioni ben più sconvolgenti e stravaganti, ma che gli appaiono in qualche modo lontanissime e fantasiose rispetto alla realtà: qui no, con Sciascia siamo in un mondo potenzialmente reale.
E' vero, sta descrivendo una realtà sociale di più di cinquant'anni fa e molti aspetti di quella realtà non esistono più o si sono trasformati in modo molto marcato. Ma altri motori della narrazione invece sono tuttora pienamente accesi e pronti a partire.
Seguiamo quindi l'autore in quel piccolo paese della Sicilia, fra uomini che si ritrovano al circolo o in farmacia per parlare di politica o di donne, fare pettegolezzi o discorsi su cultura e società.
Proprio in quel piccolo paese, in quella dimensione apparentemente così tranquilla e inoffensiva accadono però atti di violenza molto forti e inaspettati. E nessuno sembra preoccupato, scioccato o inorridito da questa violenza: come se la morte di brave persone per omicidio fosse una banale seccatura di cui dimenticarsi in fretta, di cui non è certo necessario accusare qualcuno.

"«Certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell'oscurità in cui stanno... Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino […]".

Questo è in grado di scioccare il lettore, di farlo saltare sulla sedia, anche il lettore di oggi, del 2018.

La vicenda inizia quando l'integerrimo farmacista Manno riceve una lettera anonima con la scritta : “Questa lettera è la tua condanna a morte, per quello che hai fatto, morirai.” Avendo però la coscienza pienamente pulita il farmacista considera la minaccia solo come un brutto scherzo.
Ma poco tempo dopo il povero Manno viene trovato morto insieme al dottor Roscio, con cui andava abitualmente a caccia. Tutti pensano alla lettera anonima e si concentrano sul farmacista, pensando che il dottor Roscio invece sia stato ucciso per errore, perché si era trovato nel classico posto sbagliato al momento sbagliato. A questo punto si inserisce nella narrazione la figura del professor Laurana: un insegnante di italiano e latino nel liceo classico del capoluogo, quasi amico di Roscio. Il professore comincia a notare dei particolari della vicenda che lo portano a pensare che, forse, non era Manno il vero bersaglio dell'omicida.
Laurana è presentato come una delle pochissime persone oneste del romanzo: purtroppo, o forse proprio per questo, è dunque anche “non molto intelligente, e anzi con momenti di positiva ottusità”. E' ingenuo fino alla fine, pur non essendo affatto stupido.

Lo stile è conseguente alla natura del testo : una prosa essenziale, asciutta e lineare e quindi molto moderna e piacevole. Ho apprezzato in particolare i dialoghi, realistici e in grado di dare alla narrazione un ritmo quasi scenico.
Un romanzo quindi, “A ciascuno il suo” di Sciascia, di denuncia sociale: scritto con lo scopo di far indignare il lettore in modo inversamente proporzionale a quanto i personaggi invece, si disinteressano di colpe gravi e crimini, che, pertanto, restano impuniti.


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Mian88 Opinione inserita da Mian88    14 Luglio, 2017
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Paolo Laurana e la ricerca della verità

Una lettera minatoria. Uno scherzo? Una burla di cattivo gusto? Questo il pensiero del signor Manno, farmacista del paese nonché destinatario della missiva incriminata. Trascorrono i giorni ed il suo corpo, insieme a quello del medico Roscio, vengono rinvenuti, alla data del 23 agosto 1964, privi di vita in quella che doveva essere una semplice e mera battuta di caccia.
Immediatamente, Roscio viene qualificato quale vittima innocente del farmacista perché se non fosse andato con lui, certamente sarebbe vivo. Le indagini proseguono seppur appaiano paralizzate, seppur giorno dopo giorno l’interesse verso il misfatto sembri venire meno ed il colpevole già individuato dalla massa.
Il professor Paolo Laurana, docente d’italiano, latino e storia nel liceo classico del capoluogo, è un uomo disciplinato, metodico, preciso, poco incline ai divertimenti, rigoroso e fortemente rispettoso delle volontà della madre. Gli stessi alunni lo hanno sempre considerato un tipo bravo ma curioso, curioso nel senso di quella stranezza che non arriva alla bizzarria, a quella bizzarria opaca, greve, quasi mortificata. E’ a lui che il dettaglio salta all’occhio, è a lui che sarà implicitamente attribuito il compito di sbrigliare la matassa, di giungere ad una risoluzione del caso.
Ma come addivenire alla verità, come mettersi contro il sistema quando si può essere stranieri, nella verità o nella colpa, ed anche, insieme nella verità e in quella colpa, che regola questo ordinamento di sistema stesso?

«Ma sa com’è? Una volta, in un libro di filosofia, a proposito del relativismo, ho letto che il fatto che noi, ad occhio nudo non vediamo le zampe dei vermi del formaggio non è ragione per credere che i vermi non le vedano… Io sono un verme dello stesso formaggio e vedo le zampe degli altri vermi» p. 69

Attraverso l’espediente dell’investigazione, Leonardo Scia Scia, dà vita ad un romanzo incalzante, scorrevole e ben calibrato che trasporta in lettore in un universo di denuncia.
La Sicilia che ci viene presentata è infatti un luogo di omertà, di ipocrisia, di corruzione, di pregiudizio, di assuefazione, di dicerie, di connivenza con la malavita. Al tutto si sommano atmosfere affascinanti, caratterizzate dal pettegolezzo e dalle chiacchere di piazza, dalla consuetudine, dalla mentalità prettamente familiare, dalla concezione della mafia che, come un’ombra, è onnipresente eppure formalmente intangibile.
L’autore non si risparmia nemmeno in merito alla caratterizzazione dei personaggi: ciascuno è delineato e reso concreto a prescindere dalla durata della sua apparizione. Il lettore, grazie a ciò, riesce a prefigurarsi chiaramente chi ha davanti, con le sue forze e le sue debolezze.
Non manca nemmeno quel gusto retroamaro che in un epilogo inevitabile trova la sua sostanza. Non vi è possibilità di cambiamento, in questo luogo fatto di menzogna, non vi è speranza. Chi cerca di mutare le cose, finisce con l’essere ed il diventare, inevitabile parentesi di un tempo che fu.
Questo e molto altro è “A ciascuno il suo”.

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lapis Opinione inserita da lapis    23 Dicembre, 2015
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Una leggerezza che pesa come un macigno

Quando leggi un romanzo come questo ti rendi conto che la parola capolavoro andrebbe centellinata. Usata solo nei rari casi in cui la profondità di contenuto si accompagna davvero a una penna straordinaria, essenziale nella sua densità, intensa e allo stesso tempo piacevole. Così si potrebbe dire, senza rischiare di cadere nella banalità, che “A ciascuno il suo” è un vero capolavoro.

Tutto parte da un mistero, una lettera anonima contenente una minaccia di morte e un duplice omicidio in cui non si capisce quale sia la vittima predestinata. A indagare non è un efficiente poliziotto bensì un tranquillo e timido professore di italiano, guidato, tra l’altro, non da idealistica aspirazione alla giustizia ma da semplice, e un po’ ingenua, curiosità. Facendo così leva sui meccanismi del giallo, Sciascia costruisce una narrazione scorrevole e incalzante che facilita l’accesso a un tema scomodo e amaro quale la denuncia sociale di una Sicilia di omertà, ipocrisia, corruzione e assuefazione alla connivenza malavitosa.

E’ proprio il connubio tra l’ombra della mafia, che aleggia pesante come un macigno, e una scrittura vivace e ironica, di dialoghi brillanti e ricercata leggerezza, ad incatenare e stupire. Bellissime le atmosfere: i pettegolezzi al circolo, le chiacchiere in piazza al calar della sera, il decadente caffè Romeris avvolto nella polvere del suo antico splendore. Ben caratterizzati i personaggi, persino quelli che non fanno più di una veloce apparizione, che vanno a delineare le diverse sfaccettature dell’animo siciliano: furbo, rassegnato, lucido, divertito, corrotto. Ricchissime inoltre le citazioni letterarie.

Cosa manca a questo romanzo? Forse speranza. Se anche la Sicilia del commissario Montalbano è abitata da politici corrotti, religiosi conniventi, donne sensuali dal fascino ambiguo, alla fine, pur senza sgretolare i cardini del contesto sociale, viene offerta una qualche forma di giustizia. Qui no. Non c’è eroe. Non c’è giustizia. C’è solo una verità cui aspetta un destino di silenzio. C’è solo la realtà, dolorosa nella sua estrema attualità, a mezzo secolo di distanza.

Da leggere, assolutamente.

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siti Opinione inserita da siti    04 Febbraio, 2015
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Un buon maestro

" Ma non crediate che io stia per svelare un mistero
o per scrivere un romanzo."
E. A. Poe

Lo chiarisce subito, con la citazione in esergo, il suo intento.
L'opera, vista la fortuna de "il giorno della civetta", sfrutta ancora una volta l'impianto narrativo del giallo perché l'autore, consapevole che ad esso " una buona parte dell'umanità si abbevera", con il suo tramite può perseguire il suo intento pedagogico, proprio come un buon maestro. Ancora una volta, come nelle migliori prassi didattiche: repetita iuvant; cambiano movente (il delitto è ora passionale e di stampo mafioso), i protagonisti ( non più l'emiliano Capitan Bellodi ma il più siciliano Professor Laurana) ma invariato è il finale ( vince la connivenza).
Nonostante la scelta di un siciliano come conduttore delle indagini, si chiarirà progressivamente che l'effetto da ottenere è quello di creare un assurdo: il suo novello investigatore è un ingenuo, l'epiteto di cretino che gli si riverserà addosso, il monito di Sciascia a chi ancora non aveva ben chiare alcune interdipendenze. Insomma un personaggio facile da amare che monta il suo ruolo come un vero cavallerizzo senza accorgersi che non conosce né l'arte del cavalcare né tantomeno il cavallo e le sue andature. Si troverà disarcionato ancora prima di capire, mentre l'ironia dell'autore attraversando un paese, un territorio, una nazione beffeggerà chi non capisce il limite della giustizia che cessa di esistere quando è male amministrata.
Lapidario quindi il monito :"A ciascuno il suo".

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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    27 Gennaio, 2015
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Le colpe sono altrove

“L'Italia è un così felice paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che già se n'è stabilita una in lingua...”

Della lettera anonima depositata dal postino sul banco del suo esercizio, il farmacista Manno non sa che farsene. Se nulla ha da temere o da rimproverarsi nei confronti di chicchessia, è evidente che quella minaccia di morte formata da ritagli di giornale altro non può essere che uno scherzo. Purtroppo per lui non è così: il farmacista viene trovato cadavere due giorni dopo, freddato insieme all'amico Roscio nel corso di una battuta di caccia.
Il povero Manno aveva appena fatto a tempo a far vedere al maresciallo dei Carabinieri la missiva anonima, e in tale occasione era presente anche un suo amico insegnante di liceo, il professor Laurana. E' quest'ultimo che – verificato in controluce sulla lettera un particolare non facile da notare – inizia una sua indagine, basata su elementi diversi da quella portata avanti dalle forze dell'ordine.
In paese, nel frattempo, si mormora tutto e il suo contrario: dapprima si compatisce il povero Roscio, capitato in mezzo al “regolamento di conti” voluto dai nemici del Manno; quindi, e nonostante la lettera, si inizia a piangere proprio il Manno, incappato in una faccenda che doveva riguardare per forza il Roscio.
Di quello che si dice in paese, il professor Laurana (uomo posato e poco incline al pettegolezzo) tuttavia non si cura: la sua ricerca della soluzione si basa su altro...

Uno dei libri più godibili di Leonardo Sciascia: meno criptico di altri, possibile ispiratore di una certa narrazione “alla Camilleri”, “A ciascuno il suo” fonde la tentazione (tipicamente sciasciana) di “curiosare” tra le pieghe del potere con un affascinante e ironico ritratto della Sicilia di paese.
Tutto accade “attorno” al professor Laurana. Non si tratta dell'investigatore di professione presente in molte storie dello scrittore siciliano bensì di un detective improvvisato, sebbene molto lineare nei ragionamenti e disposto, per la soluzione di quel rompicapo, ad una dose di intraprendenza insolita per la sua pacatezza.
Attraverso di lui, Sciascia entra nei templi del potere spirituale così come nei sacrari del potere temporale; nel fascino ambiguo e proibito di un'avvenente vedova, che si accresce enormemente delle congetture e degli sguardi fissi di attempati notabili di paese; nella nobiltà d'animo del siculo rigore morale e in un'opposta omertà che rende conto solo alla convenienza... in una Sicilia dove è possibile ogni cosa, ma soprattutto il suo contrario.
Alla fine tutto sfuma e si confonde: non si capisce se sia l'esercizio del potere ad essere asservito alla soddisfazione delle brame personali o viceversa, né dove sia la colpa (ammesso che, nonostante due omicidi, veramente vi sia).

“Certe cose, certi fatti, è meglio lasciarli nell'oscurità in cui stanno... Proverbio, regola: il morto è morto, diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano vede invece il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino.”

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e apprezzato "Todo modo" dello stesso scrittore, e la Sicilia raccontata da Camilleri (attraverso Montalbano ma anche in sua assenza).
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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    29 Dicembre, 2014
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Luisa Rosello, che passione

Un romanzo di ispirazione giallistica, ma che in realtà è qualcosa di più, è uno spaccato di una Sicilia e di un essere siciliani che non mi appartiene personalmente, ma che mi ha affascinato.
Il genere in questione non è decisamente il mio preferito, ma l’autore ha uno stile talmente bello e originale, che non si può non apprezzarlo.
Una storia ben congegnata con continue evoluzioni, vista da una soggettiva che fa scoprire i pezzi del puzzle, capitolo dopo capitolo. Un mistero che pare non sia così misterioso, all’italiana si potrebbe dire, dove nessuno sa nulla e tutti sanno tutto.
Eccezionale il modo di descrivere le scene, e i personaggi, in particolare la bellissima signora Luisa Rosello, per la quale Sciascia cerca e utilizza parole talmente ben studiate da far vivere al lettore tutta la sua sensualità. Sembra quasi che lo stesso Sciascia si sia innamorato di questa donna, a tal punto da renderla molto reale, da far percepire al lettore tutta la sua femminilità e passione.
Il professor Laurana, si invaghisce della giovane vedova, così come si invaghisce il lettore, che immagina una procace donna siciliana in tutto il suo fascino.
La premessa che il farmacista non ha nulla a che spartire con la politica, e forse è anche vero, ma la politica in qualche modo rientra in tutta la storia come alcuni atteggiamenti prettamente mafiosi.
Bellissima la scena del caffè nella quale il professor Laurana aspetta Luisa Rosello, perfetti i dialoghi, palpabile l’ansia che ci trasmette l’atteggiamento del professore.
Un romanzo affascinante, scritto con uno stile e un lessico particolare e ricercato, alcune frasi suonano bene anche ad orecchio e rendono imperdibile la storia.

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A tutti, indispensabile.
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Sydbar Opinione inserita da Sydbar    01 Febbraio, 2014
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A ciascuno il suo

Quando decido di leggere le opere di un autore per imparare a conoscerne lo stile e i suoi argomenti e pensieri mi immergo nelle sue parole. Sciascia ha ricevuto lo stesso trattamento e devo confessare che per me è stato un piacere lasciarmi trasportare anche per quest'opera in un viaggio prima poetico poi prosatico, che ha colto i miei pensieri e e mie attenzioni conducendomi nelle profondità di un Giallo, volutamente maiuscolo, come il suo autore.
La Sicilia, ancora la Sicilia, terra di speranze, passioni, incertezze politiche nei primi decenni del dopoguerra, falsi comunisti, democristiani bigotti, nostalgici fascisti, qualunquisti senza ideali, chi più ne ha più ne metta, questo è il contesto in cui si dipana una trama che ti solleva sulle ali di un'idea, poi certezza che ti schiaffeggia con una verità così evidente che vorremmo rifiutarci di accettarla.
Sciasca in quest'opera sfodera un'architettura così semplice e lineare nel tessere la trama che farebbe sbigottire anche il più incallito lettore di gialli, quale potrebbe essere lo scrivente.
Un duplice omicidio, una lettera anonima contenente minacce, intrighi di paese, intrighi di palazzo, vite così normali e reali da sentirsi un abitante di quei luoghi, anche noi lettori potremmo sentirci dei personaggi di quest'opera.
Un ritmo che si avvia in modo sempre più accellerato che prosegue con alti e bassi, dovuti forse a dei dialoghi interiori che potevano anche essere evitati ma che alla fine dell'opera possono essere ritenuti utili per delineare i profili dei personaggi.
Meravigliose le ambientazioni e le discussioni ambientate nei caffè di paese, un lontano ricordo di luoghi in cui si faceva la politica, la cultura, la socializzazione, seppur d'élite, dell'Europa, dell'Italia, della Sicilia.
In questi ultimi tempi apporre su di un prodotto il marchio DOP o DOCG indica anche regionalizzare l'origine del prodotto stesso per esaltarne le peculiarità, mi sento di doverlo fare anche io con questo libro di Sciascia per esaltare una produzione letteraria con cui la Sicilia si fa grande per mano di un grandissimo autore.
Buona lettura a tutti.
Syd

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Gialli e Sciascia...per chi ama la Siicilia
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Giulian Opinione inserita da Giulian    01 Agosto, 2012
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Giallo di spessore

Giallo di spessore dall’intreccio appassionante, imperniato sull’idea di una società profondamente corrotta, dove i potenti senza scrupoli usano il loro potere per soddisfare i propri desideri e difendere la propria impunità, mentre chi, come il protagonista Laurana, si prende la libertà (anche per semplice esercizio intellettuale) di esplorare nelle trame oscure lo fa a suo rischio e pericolo e perciò non può essere definito altrimenti che un “cretino” (questo è il giudizio conclusivo emesso dai compaesani, e amaramente dallo stesso autore, su Laurana nell’ultima battuta del libro).
La trama è prevalente rispetto alla rappresentazione dei personaggi, che pur nella diversità dei ruoli si assomigliano un po’ tutti, incarnando il siciliano colto ma pettegolo e dando risalto ad una sicilianità passionale ma passivamente assuefatta agli intrighi dei potenti.
La prosa di Sciascia è speciale, dotta, sintatticamente molto elaborata, ricca di allusioni e di citazioni erudite.
Meglio resistere alla tentazione di leggerlo in fretta, per assimilarne più a fondo le ricchezze.

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Cristina72 Opinione inserita da Cristina72    14 Dicembre, 2011
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Il lato oscuro della Sicilia

Il romanzo ha tutti i connotati del giallo, ma dopo le prime pagine si capisce che c'è qualcosa di più. C'è, innanzitutto, una verità taciuta che va cercata nei dettagli: silenzi, mezze parole, sguardi di intesa, la bellezza provocante di una vedova che fa da contrappunto al suo ostentato dolore.
E poi c'è la solitudine del protagonista, il professore di italiano Paolo Laurana, che si improvvisa investigatore con entusiasmo donchisciottesco. Una solitudine che in un contesto sociale come quello siciliano può diventare pericolosa, perché non c'è nessuno che ti avverte che più in là di così non è lecito andare, che è stupido, oltre che inutile, continuare ad indagare per scoprire l'acqua calda, che con l'acqua calda ci si può scottare di brutto. “Proverbio, regola: il morto è morto diamo aiuto al vivo. Se lei dice questo proverbio a uno del Nord, gli fa immaginare la scena di un incidente in cui c'è un morto e c'è un ferito: ed è ragionevole lasciare lì il morto e preoccuparsi di salvare il ferito. Un siciliano invece vede il morto ammazzato e l'assassino: e il vivo da aiutare è appunto l'assassino”. Il lato oscuro della Sicilia è magistralmente fotografato da Sciascia attraverso una narrazione spietata, che con un'ultima fulminante battuta non concede allo sconfitto neppure l'onore delle armi.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    31 Ottobre, 2011
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Sapore di Sicilia

E’ il secondo romanzo poliziesco di Sciascia. E questo tipo di romanzi, ambientati in Sicilia, hanno un gusto tutto particolare. Non a caso il Commissario Montalbano di Camilleri nasce, e ha così tanto successo, forse proprio perché ambientato nella nostra Sicilia. Terra italiana d’eccezione. A ciascuno il suo è un romanzo che si apre con un duplice omicidio, durante una battuta di caccia. E il protagonista, il professor Laurana, indaga in autonomia per risolvere il mistero. Leggi leggi e alla fine scopri che tutti sapevano tutto e che tutti hanno coperto la verità, così come impone l’omertà tipica di questa regione d’Italia. Il protagonista non è stato alle regole del gioco e quindi alla fine è lui stesso a fare una brutta fine. L’ambientazione è nella Sicilia degli anni ’60, in un paesino non lontano da Palermo. Sono belli gli spazi, sia chiusi (la farmacia, le case private, il caffè, il circolo, la chiesa) che aperti (le strade, il cimitero, i campi per la caccia). Bello lo stile, tipico parlato siciliano. E l’analisi della mentalità siciliana è la vera protagonista di questa storia. E’ un bel romanzo che serve per capirla e anche per andare oltre e apprezzare la pienezza di una terra davvero speciale.

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Sciascia e Camilleri
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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    25 Marzo, 2009
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Unicuique

Un giallo di raffinata costruzione che tuttavia non è un giallo o almeno, come tale, è del tutto atipico: questo è il bellissimo romanzo di Sciascia A ciascuno il suo.

Del resto Italo Calvino, in una lettera a Sciascia del novembre del 1965, scriveva: “ Ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi come viene dimostrata l’impossibilità del romanzo giallo nell’ambiente siciliano”.

La vicenda è di quelle che appassionano il lettore per arrivare alla soluzione, ma le descrizioni dei personaggi, delle atmosfere, degli ambienti è prioritaria, quasi che Sciascia volesse far sapere che in un simile contesto tutto ciò che avviene non è per caso e rientra in una normalità dettata dalla sempre presente associazione mafiosa.

La trama, con l’investigatore improvvisato, questo professor Laurana che ha un vizio mortale per il luogo dove vive, cioè la curiosità, è peraltro avvincente, ma ripeto che quel che conta è lo sfondo, con la vita di piccola provincia, il circolo dei notabili, la connivenza, magari obbligata, con le attività di malaffare.

Ne esce un quadro di una Sicilia racchiusa in uno schema di ordinaria struttura malavitosa tale da considerarla normale, in una rarefatta atmosfera di consapevole impossibilità di cambiare le cose.

L’abilità narrativa di Sciascia si conferma anche in questo romanzo, con una realtà che ci viene rappresentata nella sua autentica e ambigua consistenza, ricorrendo ad allusioni, a parole dette e non dette, a personaggi descritti magistralmente.

Lo sfondo è costituito appunto dalla precisa analisi dell’animo siciliano, dalla naturale presenza della vita e della morte, dal radicato concetto dell’indissolubilità della proprietà e dalle pulsioni erotiche, che prorompono diventando piacevoli sensi di colpa.

Il professor Laurana ha il torto di essere vittima di un sistema che non può perdonargli la difformità a uno schema precostituito e immutabile nel tempo, sebbene lui non abbia l’intenzione di scardinarlo.

Del resto l’affermazione che chiude il romanzo, per bocca del parroco di Sant’Anna, un prete con poca vocazione, dimostra inequivocabilmente che il pragmatismo può arrivare in un simile ambiente all’assurdo di considerare del tutto normale, perché ormai consolidato, il castello di connivenze, anche solo omertose, con il potere mafioso.

Infatti, alla confidenza che si appresta a fare con tutte le dovute cautele il commendator Zerillo e relativa alla figura del professor Laurana, il sacerdote risponde secco, a troncare la discussione: ”Era un cretino.”

A ciascuno il suo è un romanzo di tale qualità che ne ritengo indispensabile la lettura.

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