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Lei accettava la mia natura, io la sua
Il gioco di Carlo D’Amicis - romanzo che, tra i finalisti al premio Strega 2018, non ha potuto partecipare alla sezione giovani per il contenuto erotico esplicito – può essere qualificato un gioco di ruolo a tutti gli effetti (“Non era ancora, il gioco, quel sistema complesso che in seguito avremmo codificato. Ma nella sua generalità l’espressione mi piacque moltissimo, mi autorizzava a pensare che il matrimonio non era poi una cosa troppo seria”) e viene disputato da tre player: Leonardo, in arte Mr Wolf e con funzione di bull; Eva, in arte First Lady e nel ruolo di sweet; Giorgio, detto il Presidente, con funzione cuckold.
Do per scontato (!) che tutti sappiano il significato dell’essere bull, sweet o cuckold (ma in un eccesso di scrupolo dico che i ruoli corrispondono a quello del maschio Alfa, della donna schiava e dominatrice al tempo spesso, del cornuto felice di essere tale) e indugio sulla coppia “aperta” (“Alla fine ci trovammo da soli, naufrago Giorgio e naufraga Eva, in quell’isola deserta chiamata matrimonio”) Eva e Giorgio (“Giorgio non si scordava mai di mettere un fiore sul vassoio, né di ribadire ciò che voleva essere per me: uno schiavo e un padrone”), soffermandomi in particolare sulla figura di Giorgio (“Da Menelao in giù, tutti i cornuti della storia sono stati ricondotti a un banale stereotipo”). La sua propensione sessuale affonda le radici nel mito (“Cuckoldismo è solo la traduzione inglese di candaulesimo. Il nome deriva da Candaule, re di Lidia dell’VIII secolo a.C., che mostrò la moglie nuda alla sua guardia del corpo Gige. L’episodio è narrato da Erodoto nelle sue Storie…”), ha un significato quasi etico (“In questo ha ragione Leon Hard: offrire la propria carne è un gesto spirituale, offrire quella della propria moglie è un gesto mistico”), si estrinseca in manie comportamentali (“Il sesso e la cura della piscina”) che sanno rispettare i limiti quand’è il momento (“Non sono mai riuscito a convincerla a vestirsi da suora, ad esempio”).
L’argomento viene trattato in modalità mai urtante, così basato sullo scherzo, sul rifiuto delle inibizioni e sul consenso tra adulti (“Lei accettava la mia natura, io accettavo la sua”).
Quando lo strano triangolo si trasferisce dalla villa di Grosseto alla sede dell’Infinito, un club ove il sesso e il libero scambio vengono praticati sotto l’insegna della sfrenatezza erotica, il romanzo assume toni dichiaratamente ironici tra i vistosi paradossi che l’età avanzata dei tre protagonisti accentua, gettando un’ombra perfin malinconica (“Da tempo si era fissato con la favola del ragazzo che non voleva crescere, sosteneva che l’infinito fosse una variante dell’Isola che non c’è e noi un branco di bambini perduti”) sui malanni dell’età e sui mutamenti sociali di tempi nei quali censura e servizi sociali si alleano contro la libertà di autodeterminarsi, la ludopatia sostituisce la sessuomania, il piacere virtuale sbalza quello reale, e il ritrovarsi in tre costituisce una formula esistenziale di sostegno rinforzato e vicendevole rispetto alla formula stantia e logorata del matrimonio.
Giudizio finale: esplicito, giocoso, edonistico, triangolare.
Bruno Elpis
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Esser chiari, bisogna esser chiari, ahahah
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