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L'amore è un "inferno incantevole".
Pubblicato in Francia nel 2001 ed in Italia nel 2023, “Perdersi” è il diario di un’appassionata relazione amorosa tra l’autrice ed un diplomatico russo dell’ambasciata di Parigi: un rapporto travolgente, impetuoso, tra Annie, quarantottenne ancora bella e desiderabile, e un giovane
trentacinquenne sposato, vagamente simile ad Alain Delon, “magro, occhi verdi, capelli castano chiari”, simile a “quella schiera di uomini un po’ timidi, alti e biondi, che hanno costellato la mia giovinezza”. Si sono incontrati durante un viaggio di scrittori a Leningrado nel 1988: esploderà qui la passione, che durerà con fasi alterne fino all’ottobre del 1989, quando “S.” (così lo chiamerà Annie per tutto il diario) tornerà definitivamente in Russia.
“Voglio vivere una favola”, cita Annie riportando in epigrafe una scritta anonima sui gradini della Basilica di Santa Croce a Firenze: la Ernaux vorrebbe che fosse così, cullando un’illusione che presto tramonta, la favola bella diventa una storia angosciosa, disperante, il “bisogno vitale di un uomo, così terribile, vicino al desiderio di morte e di annientamento”. Già, perché dopo il primo incontro a Leningrado, Annie non può più fare a meno di S. ( “più avanzo negli anni, più mi concedo all’amore”), attende le sue visite con il cuore in subbuglio, si dispera se passano i giorni senza una sua telefonata, passa notti insonni, piangendo nel terrore di essere abbandonata. Per lui, invece, Annie probabilmente è solo un piacevole svago : ama vestirsi elegantemente, accetta regali da Annie, dice di amarla ma corteggia altre donne, insomma un donnaiolo gaudente e superficiale, tanto da indurre l’amata a rendersi finalmente conto che “ per S. sono solo una donna che ha conosciuto, che scopa bene e che può vedere di tanto in tanto”.
Ma il rapporto che la lega a S., poco sentimentale e quasi solo sessuale in tutte le più variegate declinazioni, è descritto dall’autrice anche nei particolari più scabrosi, con gioia e leggerezza, il desiderio è sempre lancinante (“ lo desidero in maniera spaventosa, da morire”), la felicità di ricevere e dare piacere sembra essere l’unica ragione per sopravvivere. L’avvicinarsi della partenza di S. le causa prima angoscia (“la paura che non possa venire è angustiante”), poi, giorno dopo giorno, una sorta di rassegnazione inconsolabile, consapevole forse di essere solo un passatempo, una specie di trofeo (la famosa scrittrice francese!) di cui S. può menare vanto con amici e colleghi. Il vincolo esclusivo che li lega si spezza, lei, dopo un tiepido addio, gli invia una cartolina, lui nemmeno risponde.
Il diario è testimone dell’anno di passione: “ho fatto l’amore e ho sempre scritto, come se dovessi morire subito dopo”. La scrittura salva Annie, che afferma “l’idea di poter scrivere di questa persona sostituisce l’idea di morire”, confermando altresì che “ non ho mai desiderato altro che l’amore, e la letteratura”. Ecco il binomio che salva Annie e le permette di superare il distacco dall’uomo amato: la passione vissuta con totale dono di sé e la capacità di trasformare (oserei dire trasfondere, per deformazione professionale) il vissuto in letteratura. Lo scrivere, oltre che contribuire alla consapevolezza di sé, ci offre nelle pagine del diario della Ernaux riflessioni disseminate qua e là sulla condizione della donna, sulle sue malcelate simpatie per l’ideologia comunista e per il mondo sovietico da lei frequentato e ben conosciuto, forse per affinità di vedute con S., iscritto al PCUS, sostenitore di Gorbacev ma ammiratore fervente di Stalin.
E’ un diario intimo, segreto, nel quale annota anche, alternati agli incontri con S., momenti legati alla professione (correzione di compiti, incontri con gli editori, conferenze, revisione di bozze) e brevi periodi di svago (visite a musei e, soprattutto, un più articolato soggiorno a Firenze, con annotazioni positive e negative).
Lo stile è quello tipico della Ernaux, dettagliato, preciso, esente da coinvolgimenti retorici. Diventa coraggioso e suggestivo quando espone senza censure lo svolgersi dei suoi rapporti con S.: li raccontai con estrema sincerità e senza falsi pudori, per capire fino in fondo i propri desideri più intimi e segreti, analizzandone l’origine e la propria capacità di incoraggiarli senza complessi o reticenze.
La scrittura resta comunque un palliativo, una medicina che non dà sollievo: l’angoscia delle snervanti attese, i pianti disperati, i momenti di estasi e di dolore sono troppo evidenti, il “tempo della passione” sa come indurre le sue vittime a “perdersi”.
Del resto, per Annie come per tante altre eroine della letteratura, l’amore è un fuoco inestinguibile, lo affermava con passione già Jane Austen, la famosa autrice di “Orgoglio e pregiudizio”, alla fine del Settecento: “ … amore è bruciare, è essere in fiamme”.