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Commento
Di una bellezza davvero sfolgorante questo romanzo di Annie Ernaux, meritatissimo Nobel per la letteratura. Il racconto è quello di un aborto clandestino subito dall’autrice quando era giovane e quando ancora l’aborto era un reato. Era quindi necessario per le donne rivolgersi a chi praticava clandestinamente questa pratica, con tutti i rischi connessi per chi lo subiva.
Sin dalle prime righe il racconto colpisce e lascia attonito il lettore. Quasi un pugno nello stomaco.
Non c’è retorica sulla vicenda, non ci sono parole di troppo. Il racconto è asciutto, asettico e allo stesso tempo fortissimo. I personaggi della vicenda vengono indicati con le sole iniziali. In fondo non hanno importanza i nomi perché si sta raccontando una vicenda individuale che per come è raccontata diventa di valore universale. Qui risiede la potenza del romanzo. Non si tratta della vicenda di una donna ma di quella di tutte le donne che hanno dovuto subire i rischi di un aborto clandestino, la vergogna che le accompagna per il “crimine” che vogliono commettere, le frasi che vengono loro rivolte e che risuonano come condanne.
L’impressione è anche che l’autrice voglia uscire da se stessa e diventare altro per raccontare “l’evento” dall’esterno. Come se non fosse suo, se non l’avesse vissuto.
I compagni di università, il padre del bambino, il medico, la farmacista, la donna che praticherà l’aborto, il personale dell’ospedale dove verrà ricoverata per emorragia. Tutti presenti ma quasi trasparenti nella loro potenza espressiva e nel loro giudicare con magari una sola frase, terribile per chi l’ascolta. Benché ciascuno sia nel romanzo costituito da solo due iniziali.
Bella anche l’atmosfera parigina, città dove occorre recarsi per abortire. Il bar, la chiesa dove va a pregare di non sentire troppo dolore, luoghi e momenti scolpiti dalla scrittura della Ernaux e che risultano quasi immobili, fermi nel tempo e nello spazio.
Certo, successivamente scoprirà che c’è chi pratica clandestinamente aborti anche nel paese dei genitori, ma solo dopo, prima non la aiuterà davvero nessuno.
La sensazione è di entrare in un’atmosfera cupa benché vuota di personaggi che sentiamo carne e ossa, eppure piena della solitudine e della violenza psicologica che la protagonista dovrà subire per liberarsi da ciò che viene chiamato sul suo diario in molti modi per evitare di dargli il suo giusto nome: lei è incinta e aspetta un bambino. E questo diventa “il problema”.
La lettura attrae il lettore come una calamita ed è di incredibile racconto.
Questo racconto, così come è stato fatto dalla Ernaux non è solo splendido, era necessario. Qualcuno doveva scriverlo. Meglio della Ernaux non sarebbe stato possibile farlo.