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Patrick
«Mi portano davanti al plotone di esecuzione. Il tempo si dilata, ogni secondo dura un secolo più del precedente. Ho ventotto anni.
Di fronte a me, la morte ha la faccia di dodici fucilieri. La consuetudine vuole che una delle armi sia caricata salve. Così che ognuno possa ritenersi innocente dell’omicidio che sta per essere perpetrato. Dubito che oggi quella tradizione sia stata rispettata. Nessuno di questi uomini sembra aver bisogno di una possibilità di innocenza.»
Amélie Nothomb torna in libreria con la sua consueta metodicità proponendo ai suoi lettori il suo trentesimo lavoro. La belga è nota per essere una scrittrice eclettica e fantasiosa ma anche molto originale nel suo scrivere e narrare. Non manca mai di toccare tematiche sottili quanto di far riflettere tra le righe il lettore.
Tra queste pagine a far da protagonista è Patrick Nothomb, padre di Amélie, venuto a mancare a causa della pandemia e quindi del Covid. Si può dire che questo sia un omaggio vero e proprio alla figura del padre, una vita che viene ricostruita con cura, una storia che si plasma e che si muove tra dramma, ironia, sagacia e perspicacia. Ecco allora che prende forma il racconto.
Patrick è un ragazzino che desidera solo l’amore della madre ma è anche un diplomatico di successo, tra i tanti grandi traguardi il riuscire a salvare 1.500 ostaggi in Congo dopo lunghe trattative. Ma il padre non era e non è stato solo questo. È un uomo che ha visto la vita, che ha visto la morte. Un uomo che nel 1964 si trova davanti al plotone d’esecuzione e vede scorrere tutto il suo vivere innanzi ai suoi occhi.
La Nothomb passerà poi alla figura di Pierre, il nonno ed ancora al concetto di educazione che non è lo stesso che possiamo ravvisare in altri luoghi e famiglie. Come tanti e come tutti Patrick sbaglierà, cadrà, si rialzerà, la strada che lo porterà alla carriera diplomatica sarà ben particolare ma intrisa di verità. Perché alla fine anche il negoziare ha un suo perché e un suo svilupparsi tra retroscena, compromessi, giustizie a metà e bicchieri tanto pieni quanto mezzi vuoti.
«Sopravvivere all’infanzia restava un’esperienza darwiniana per i figli di Pierre Nothomb.»
Narrato in prima persona, “Primo sangue” è uno scritto che rispetta e si conforma a tutti i canoni e le impostazioni proprie della narratrice. Non supera le 128 pagine, è sviluppato in modo fluente, non mancano tematiche ricorrenti, non manca l’introspezione e la memoria.
Il risultato sarà quello di uno scritto godibile, perfettamente nothombiano, sufficientemente distaccato ma anche un omaggio in piena regola.
«Nonostante il bagno di sangue, Patrick Nothomb non svenne. Mai sottovalutare l’istinto di sopravvivenza. Come nove ostaggi su dieci, fu annoverato tra i superstiti.»
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