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Sopravvivenza dissimulata
…” Leggo dal mio quaderno di poesia, mentre la notte passa davanti alla finestra e senza che io me ne renda conto l’ infanzia cade in silenzio sul fondale della memoria, che è la biblioteca della mente, dalla quale attingerò conoscenza ed esperienza per tutto il resto della vita”…
Danimarca, anni’ 20 del ‘900, la giovane Tove abbandona l’ infanzia in compagnia di un quaderno e dell’ amata scrittura, unica compagna in una nebbia famigliare che l’ha costretta a dissimulare per sopravvivere. Cerca di evadere da un reale deludente, banale, invisa agli occhi altrui, al cospetto di una madre che non ha mai conosciuto, bella e intoccabile, solitaria e piena di segreti, costantemente attraversata dai propri afflati umorali, di un padre che vive di precariato, che l’ha avviata precocemente ai piaceri letterari e che ne ostacola il desiderio di scrivere, di un fratello maggiore bello e talentuoso, il cocco e l’ orgoglio di casa, suo punto di riferimento.
A Tove non resta che circondarsi di solitudine, inascoltata, violata, umiliata nella propria essenza, così per tutta l’ infanzia, decisa a non rivelare mai più i propri sogni.
L’ incupimento di un destino deciso da altri, una stagione della vita che diventa …”una striscia scura “…, da sempre un certo talento per la scrittura, nessuno per i giochi.
E allora quell’ infanzia per molti unica e gioiosa per Tove è…” lunga e stretta come una bara”… impossibile abbandonarla, …” appiccicata alla pelle come un odore”….
Per sfuggire la propria condizione non le resta che indossare una maschera di stupidità, un modo di anestetizzare e combattere quel male che assorbe e patisce dal mondo mentre il suo cuore si riempie di un caos di rabbia, dolore, compassione, un senso di nausea che la prende ogni volta che sua madre, come lei spaventata dal mondo, la pugnala pubblicamente alla schiena.
…” Nessun adulto sopporta il canto del mio cuore e le ghirlande di parole della mia mente, ma sanno che esistono”... anni bui che inevitabilmente ritornano, una sensibilità forgiata da cotanta durezza, una vita che non piace e non serve a nessuno, giorni silenziosi, furtivi, circospetti, costruiti per un’ altra bambina.
Ed eccola affidarsi allla dimensione del sogno, amico prezioso, con l’ idea di qualcuno che possa ascoltarla e capirla, con cui parlare di certe cose, a cui leggere le proprie poesie che sorvolano sul reale, qualcuno che pare esistere solo nei libri.
Tove è attraversata da un prematuro senso di morte, i versi coprono le crepe e custodiscono il segreto della sua infanzia, un irrinunciabile anelito del cuore, anche se non potrà mai essere una scrittrice.
Il giorno della cresima e l’ ingresso nell’ età adulta porteranno a cambiamenti, obiettivi già noti, un mondo inviso, temuto, odiato, filtrato dagli occhi di un’ infanzia rubata conservata all’ interno dei cassetti della propria memoria.
Primo volume autobiografico della trilogia di Copenaghen, “ Infanzia “ ci guida nella sfera autobiografica di Tove Ditlevsen, così vera e cruda nella minuziosa descrizione della propria sofferta quotidianità e strabordante di eleganza e poesia nel trasmetterci l’ essenza della protagonista.
I suoi occhi indagano e riflettono una visione di adulta nella scrittura e di bambina nella propria memoria sensibile, lo stile è limpido, essenziale, lineare nel rendere l’ inquietudine e il senso di solitudine di una voce introversa e ipersensibile.
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