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La vergogna delle proprie origini.
Ognuno di noi vorrebbe lasciare un’impronta del suo passaggio terreno in modo da venir ricordato il più a lungo possibile prima di scomparire per sempre nel nulla. Anche Annie Ernaux ci ha lasciato, a questo scopo, numerose memorie autobiografiche sulla sua vita e sui principali eventi che l’hanno caratterizzata, tra i quali “La vergogna” (pubblicato da Gallimard nel 1997 e, in Italia, da L’Orma nel 2018), un testo che ripercorre l’infanzia della scrittrice ed un successivo periodo scolastico, argomenti che in effetti dividono il libro in due parti. Nella prima, è narrato un evento terribile che verrà ricordato con angoscia dalla piccola Annie: un furioso litigio tra i genitori seguito da un tentato omicidio della madre da parte del padre, armato di roncola, un’immagine di violenza domestica che resterà impressa indelebilmente nella mente della figlia provocando un sentimento di vergogna nei confronti dei genitori, tranquilli e sereni in pubblico, sguaiati e volgari nell’intimità. Una vergogna che la piccola proverà anche per le origini modeste della famiglia, la scarsa cultura, il tipo di linguaggio, il conformismo in ambito sociale, le difficili condizioni economiche. Insomma, vergogna per le proprie origini: una vergogna che emergerà anche nella seconda parte del libro, quando Annie inizierà a frequentare una scuola cattolica privata, retta da insegnanti religiose, a contatto con compagne di diverso ceto sociale. Costrizioni e divieti, insegnanti rigide, il “lei” obbligatorio, ingresso agli uomini proibito tranne che ad un vecchio giardiniere, il tutto scandito da atti di devozione e preghiere ad ogni piè sospinto. Nonostante tutto, la ragazza se la cava bene, condizionata però da un costante senso di inferiorità rispetto a compagne più fortunate, convinta di non appartenere alla categoria delle persone perbene, che non bevono, non alzano le mani e si vestono come si deve: “potevo pure presentarmi con un grembiule nuovo, ma non somigliavo più alle altre ragazzine della classe”. Un senso di vergogna che proverà anche durante un pellegrinaggio a Lourdes con il padre: i due saranno emarginati, durante il viaggio, dal resto della comitiva costituito da persone o coppie più facoltose, anche in occasione di una sosta sulla spiaggia di Biarritz, dove Annie sprovvista di costume, tutta vestita e con le scarpe ai piedi, proverà ancora una volta, “in mezzo a corpi abbronzati e in bikini”, un senso di profonda inadeguatezza. Ricorderà anche la rabbia del padre, che, al ristorante, si lamentava di essere stato trattato con disprezzo perché “non faceva parte della clientela elegante che ordinava alla carta”.
Nell’ultima parte del libro, la Ernaux si dilunga nella descrizione del paese in cui è nata e cresciuta, tipico della provincia francese del dopoguerra: è un quadro minuzioso, particolareggiato, accompagnato da riflessioni sulla sua famiglia, la religiosità tutta superficiale della madre, i pettegolezzi, le abitudini consolidate, i gesti quotidiani che distinguono gli uomini dalle donne, i rapporti con gli altri, tutti condizionati da regole e codici immutabili, tutti convinti che non ne possano esistere altri.
Annie Ernaux inizia la stesura del libro nel 1994, convinta che tutto nell’esistenza della sua famiglia d’origine sia stato fonte di vergogna, “la latrina in cortile …, gli schiaffi e le parolacce della madre …, i clienti avvinazzati …, l’appartenenza ad una classe che la scuola privata trattava con disprezzo e ignoranza …”, e che la vergogna fosse diventata ormai il suo “stile di vita”.
Ora, conclude, non ha più nulla in comune con la ragazzina di quei lontani anni, tranne il ricordo lancinante di quella tremenda scena del litigio tra padre e madre, scena che non l’ha mai abbandonata e che l’ha spinta a scrivere il libro.
Lo stile narrativo è il tratto caratteristico della Ernaux: preciso, stringato, lucido, racconta semplicemente i fatti così come sono avvenuti, senza approfondimenti avventati né giudizi superficiali. Bastano i fatti, nudi e crudi, a sottolineare il coinvolgimento emotivo di chi narra, anche a distanza di anni, anche se i ricordi tutti, tranne il più dirompente, sono ormai sbiaditi e superati da una vita soddisfacente.
Nelle autobiografie della Ernaux, la vergogna intesa come turbamento interiore verso ciò da cui si proviene è sempre in primo piano, un nemico difficile da annientare: con il tempo, però, tende a sbiadirsi, con la consapevolezza di aver superato i momenti difficili della vita confidando, contro tutto e tutti, nelle proprie forze e nella speranza di una vita migliore. La vergogna si è trasformata in compassione, la compassione in comprensione e, forse, in tenerezza.