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Il fuoco creativo per Canetti
“Libro secondo” dell’autobiografia dello scrittore Premio Nobel Elias Canetti, che oramai adolescente racconta dieci anni della sua vita (1921-1931) tra Francoforte, Vienna e Berlino. Se un lettore si dovesse chiedere(come peraltro successo a me) il significato del titolo dovrà attendere però le pagine finali del libro, quando l’autore farà comprendere a cosa porterà il “frutto del fuoco”, l’intuizione squisitamente letteraria che verrà a questo punto svelata avente a che fare con la sua produzione letteraria (“Che incendio! Quello si che fu davvero un incendio! Non sapeva che per me quella parola era ormai diventata un nome”).
Questo secondo capitolo approfondisce alcuni aspetti fondamentali nell’evoluzione personale dello scrittore, nel suo vissuto interiore, a partire dal rapporto con la madre che diventa via via sempre più conflittuale a causa di interferenze piuttosto forti aventi a che fare con la sfera sentimentale del figlio. Ma forse la tematica centrale, che permea tutte le pagine del libro, e che lo stesso definisce come “L’illuminazione che determinò tutto il resto della mia vita” sono le riflessioni sul concetto di “massa” (“Ero stato afferrato dalla massa, era un’ebbrezza, nella massa ti perdevi, dimenticavi te stesso”). Il fascino che assume la massa è tale che porterà l’autore a dedicarle un libro (Massa e potere) ed è a sua volta conseguenza della partecipazione dello scrittore ad un episodio di protesta popolare al quale partecipò durante il periodo viennese, quando la massa diede fuoco al palazzo di Giustizia. Nuovamente il fuoco dunque “l’elemento di coesione. Sentivi il fuoco, la sua presenza era schiacciante….la forza di attrazione del fuoco e quella della massa facevano tutt’uno”. A completamento della progressiva formazione di Canetti come persona prima e scrittore poi viene descritto inoltre l’incontro con intellettuali che hanno inciso profondamente nel suo vissuto, tra i quali spiccano i nomi di Karl Kraus (a Vienna), Bertold Brecht e George Grosz a Berlino. Quest’ultima, città dove l’autore visse alcuni mesi e tratteggiata, in maniera non proprio lusinghiera però, come nucleo urbano in forte fermento piuttosto ammalato di edonismo; una città nella quale una novità culturale dopo pochi giorni era già dimenticata, dove gli intellettuali, i mecenati o semplicemente la gente comune, si radunavano alla sera nei locali con l’obiettivo di mettersi in mostra, di parlare, criticare.
Una lettura interessante in definitiva, propedeutica per affrontare altri libri molto noti dell’autore. Tuttavia una lettura che, a tratti, tende a perdersi e risultare un pochino pesante da affrontare, in particolare quando l’autore si dilunga nelle descrizioni dei tanti personaggi incontrati, spesso anche marginali rispetto alla centralità delle vicende.
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