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IL SORRISO DI MARTA
non lo avessi ricevuto in regalo, non avrei probabilmente mai letto questo libro.
Temevo un evanescente pamphlet new-age, un acritico elogio alla salvifica via della meditazione ayurvedica. Con sorpresa ho scoperto uno scrittore disincantato e profondo capace di indagare la propria fragilità con sincerità e schiettezza.
Nelle intenzioni originali, oggetto del libro avrebbe dovuto essere lo Yoga e l’influenza della meditazione sulla vita dell’autore. I primi capitoli raccontano una esperienza di ritiro spirituale in cui, scandite dal suono del gong, le giornate scorrono tra prolungate meditazioni, riti di sapore orientale e serene passeggiate nei boschi nei dintorni di Laroche-Migennes. Eppure fin da subito appare chiaro come né le atmosfere rarefatte, né l’estraniamento un pò artificiale molto possa nel placare la crisi personale dell’autore ed il vorticoso turbine delle “vritti” che lo tormentano. Carrere osserva con sottile ironia i suoi compagni di meditazione i quali, per libera associazione, mi han ricordato le anime perse vaganti tra i viottoli dello stabilimento termale in 8 e 1/2 di Fellini.
Ad interrompere bruscamente la forzata quiete è la notizia dell’attentato a Charlie Hebdo col conseguente brusco richiamo alla realtà. Da qui ha inizio la lunga descrizione del processo degenerativo in cui la depressione spinge Carrere fino a concepire propositi suicidi.
"Tutto quello di cui mi accingevo a parlare con il tono pacato di chi procede fiducioso verso lo stato di meraviglia e serenità mi appare oggi in una luce cruda e crudele, la luce livida dell’alba di un’esecuzione capitale che non posso fare a meno di considerare vera, più vera di quella del pieno giorno che scaccia i brutti sogni."
Quelli centrali, caratterizzati dalla disarmante sincerità con cui Carrere riesce a mettersi a nudo e dalla cruda incisività con cui descrive l'avanzata del male oscuro, sono senz'altro i capitoli migliori.
Ne emerge una personalità bipolare (“Yoga per bipolari” avrebbe dovuto essere il titolo) in cui alla tensione verso l’unità e l'empatia si contrappone una pulsione disgregatrice ed autolesionista che lo induce alla solitudine.
Di questo conflitto senza sosta Carrere è al contempo spettatore e vittima. La malattia lo conduce progressivamente verso l'auto annientamento fino al ricovero forzoso in una clinica psichiatrica.
Appena la morsa della depressione si fa meno opprimente, Carrere decide di intraprendere un viaggio confidando nel suo possibile valore terapeutico.
La terza parte del romanzo è ambientata in un campo profughi di un isola greca dove lo scrittore conosce ragazzi afgani e siriani fuggiti dall'orrore della guerra. Il loro attaccamento alla vita è se non proprio linfa vitale cui attingere, perlomeno antidoto e lenitivo alla propria crisi esistenziale. Un invito a relativizzare insomma:
"Ho detto spesso che bisogna rispettare il proprio dolore, che non bisogna relativizzarlo, che la sofferenza nevrotica non è meno atroce della normale sofferenza umana, ma paragonare allo strazio che hanno vissuto e che stanno vivendo questi ragazzi di sedici o diciassette anni la storia di uno che ha tutto, assolutamente tutto per essere felice, e che fa in modo di sabotare la propria felicità e quella della sua famiglia, è un’oscenità che trovo inconcepibile chiedere loro di capire e che dà ragione ai miei genitori, quando dicono che, durante la guerra, non ci si poteva permettere il lusso di essere nevrotici."
Yoga è un libro rapsodico che raccoglie esperienze personali dell'autore completamente scollegate tra loro. Carrere sente il dovere di concluderlo con un frettoloso finale che chiosa le molteplici storie e ci informa sui destini riservati ai vari personaggi incontrati nel cammino.
Pur nella caotica costruzione narrativa lo stile rimane asciutto e piacevole. Carrere è sempre credibile e della sua sincerità non si dubita mai ed è forse lo stesso disordinato flusso di pensieri e situazioni che contribuisce a questa sensazione di veridicità.
Un bel libro che non manca di originalità e profondità, che "doveva essere sullo yoga e che, a conti fatti, dopo varie vicissitudini forse lo è." A ciò aggiungo il merito di avermi fatto scoprire quel fuggevole sorriso di Marta Argerich mentre suona la polacca di Chopin.
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Commenti
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a me non è dispiaciuto: discontinuo ma sostanzialmente sincero.
Se ti capita guarda questo video e attendi il minuto 5:30
https://youtu.be/KCSEwfqs-VM
Ciao
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Qui però la tua recensione mi ha incuriosito. E certamente la Argerich al pianoforte è meravigliosa.