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Dolore e nuova consapevolezza
Un memoir di una vita esposta e condizionata dal proprio status e dal colore della pelle, corrosa dal dolore della perdita, dell’ amato fratello Joshua e di altri quattro ragazzi, tutti neri, tra il 2000 e il 2004, morti di morte violenta senza alcun legame apparente, giovani senza speranza rapiti nella propria disperata essenza, da droga, alcool, povertà, razzismo, diseguaglianza, solitudine, silenzio, disperazione, rassegnazione, casualità.
È la storia di una comunità, una lista crudele che ha ammutolito l’ autrice per molto tempo e un racconto difficile, ambientato in una piccola città del Mississippi, Deslile, in quegli Stati Uniti del Sud in cui da sempre vige una legge non scritta, e i neri vivono un senso di inferiorità e colpevolezza, una condizione di abbandono, isolamento, inferiorità economica, sociale, razziale, una piaga ormai infetta senza alcuna assunzione di responsabilità, pubblica e privata.
Jesmyn Ward è sopravvissuta, in qualche modo, affrancandosi da una terra amata e odiata che le ha tolto tutto, in primis la gioia e la speranza, ma nella quale puntualmente ritorna, attratta dal reiterato dolore della perdita e da quel telefono che negli anni ha continuato a squillare annunciando l’ indicibile, di sguardi malevoli che si posavano sulla sua “ diversità “ e dalla certezza di una colpa, un senso di inadeguatezza, la mancanza di un futuro, eppure in lei è nato un imprecisato desiderio di rivalsa.
Un ‘ autobiografia che srotola la sua giovinezza, una famiglia trascinatasi faticosamente, implosa e sgretolata dall’ inadeguatezza di un padre non padre che rivendica la propria narcisistica essenza e tenuta unita da una madre forte, coraggiosa, onnipresente, esempio da imitare e da trasmettere ai propri figli.
Jesmyn e’ una bambina con un’ etichetta incollata addosso sin dalla nascita, una giocosità frantumata dalla perdita dell’ innocenza, incarcerata all’ interno di mura invisibili e invalicabili, il respiro dell’ odio, l’ abbandono, il sospetto, quel sapore di niente che è la propria vita, precocemente rivolta all’ autodistruzione, come tanti altri.
Ma in lei l’ odio ha generato una nuova speranza, quella forza materializzatasi in un desiderio di rivalsa, di fuga, una costruzione interiore fatta di istruzione e letteratura che spezzasse un futuro già scritto, tra alcool e droga, un luogo della mente che la portasse altrove, dove le parole sono schiette e sincere e vi sia una distinzione tra bene e male, desiderosa di essere l’ eroina della propria vita.
Molti attorno a Jesmyn non ce l’ hanno fatta, giovani vecchi che si sono curati con alcool e droghe, senza speranza e possibilità, disperati, imbevuti di violenza, perseguitati dalla morte, di generazione in generazione sempre la stessa storia, certi di una solitudine estrema, senza nessuno che combatta al loro fianco, nell’ autrice vive il ricordo di tutte queste perdite ma non c’ è salvezza per un dolore siffatto, non è vero che il tempo cancella le ferite, semmai le anestetizza.
Il memoir di Jesmyn Ward, con un toccante capitolo finale in cui l’ autrice ci parla della recente perdita del marito causa pandemia e della nascita del movimento black lives mattter, corredato da una bellissima nota della traduttrice Gaja Cenciarelli che si addentra nella peculiarità del testo e nella propria toccante esperienza traduttiva, un viaggio a ostacoli per ricompone il complesso puzzle dell’ opera da cui per lei è stato difficile staccarsi con un ringraziamento all’ autrice per la difficile coniugazione e identificazione tra bellezza letteraria e umana, si rivela un componimento a più strati.
Esso, dalla rielaborazione del dolore della perdita, in primis del fratello Joshua, morto ammazzato da un “ bianco “ ubriaco che non sarebbe stato accusato della sua morte, è un atto di forza, politico, artistico, d’ amore, una ricostruzione storica, un cuore vivo e pulsante.
Ciò che per i neri d’ America è sempre stato, quella condizione di inferiorità che oggi la pandemia ha ulteriormente legittimato, l’ essere marchiati da una nascita senza speranza, ha subito un radicale cambiamento nel mentre si viveva l’ isolamento della pandemia.
In una situazione di solitudine imposta, piangendo le proprie perdite, l’ autrice ha assistito alla nascita di un movimento di protesta internazionale ( black lives Matter ), un atto di civiltà che ha cambiato le carte in tavola, spezzando definitivamente qualcosa dentro di lei, quell’ atavico senso di inadeguatezza che si era portata dentro per una vita. Oggi una neo consapevolezza, che i neri d’ America non sono più soli, un quotidiano atto di testimonianza dell’ ingiustizia, e della lotta, innumerevoli persone testimoni delle loro battaglie e che prendono posizione al loro fianco.
E allora... “ come sappiamo, l’ ultimo dei nostri cinque sensi ad abbandonarci è l’ udito. Quando una persona è in punto di morte perde la vista, l’ olfatto, il gusto. Il tatto. Dimentica persino chi è. Ma, fino alla fine, riesce a sentire. Io ti sento. Io ti sento. Tu dici: ti amo. Noi ti amiamo. Non c’è ne andremo. Ti sento dire: noi qui “....
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