Dettagli Recensione
Vizio di forma
Dopo che l’editore Gallimard l’ha inserita nelle proprie collane, Annie Ernaux è divenuta un’autrice quasi di culto, considerata capace di ridefinire un genere, quello dell’autobiografia, dilatandone e quasi annullandone i confini, che finiscono per abbracciare l’analisi sociale, culturale e la ricostruzione storica. E certo la scrittrice ha un modo peculiare di procedere, quasi per schemi: l’evento autobiografico, che si configura come un trauma, un punto di rottura, apre la narrazione e si riverbera a cerchi concentrici per tutte le pagine successive. In questo breve testo, “La vergogna”, Annie ricorda una domenica d’estate, la domenica in cui suo padre tentò di uccidere la madre e di come nulla, da lì, fu più come prima. A leggere le prime pagine, in effetti, il libro prende la strada di una ristrutturazione psicologica, di una disamina attenta di come quanto l’autrice ha vissuto ne abbia poi condizionato la vita. Le stigmate del passato, ci ricorda le Ernaux, vanno masticate, metabolizzate e digerite, eppure scoprire il velo del dolore, il silenzio greve degli anni, affrontare ancora gli istanti più cupi della propria storia, richiede un coraggio insolito, un coraggio che a molti manca e che più di tutto reclama la necessità di sapersi perdonare per non essere stati abbastanza, per non essere riusciti a impedire il tragico, per essere stati fragili e deboli quando la vita pretendeva forza e resistenza. Il dolore di questo evento, il cui ricordo non ricompone la memoria, ma anzi ancora più la frantuma, è talmente incandescente da dover essere neutralizzato da una scrittura algida, cerea, asettica; una scrittura “entomologica”, come programmaticamente la definisce la Ernaux, volutamente fredda, che non di rado procede per punti ed elenchi, centrata com’è sul ricorso a un linguaggio nudo e concreto, lontano da orpelli e metafore.
Personalmente non sono contrario ad uno stile freddo se questo è giustificato dal contenuto, ma mi pare che la rigidità del tono mal si adatti al resto del libro, che tratta con disincanto l’ipocrisia e la finta educazione della società coeva, la rigida educazione nel collegio cattolico, le norme e i precetti da seguire per non sfigurare, il cortile dove defecare, la casa-emporio-bar senza angoli di privacy, le gite a Lourdes, la rigida tassonomia urbanistica ed economica delle strade della città: quando il fuoco della narrazione si allarga al contesto, la freddezza del tono scade nella telegrafia e contribuisce, nella completa assenza di respiro narrativo, a scoperchiare una grossa criticità strutturale; “La vergogna” è un testo sospeso, non concluso, il tassello di una più grande progetto autobiografico che si intravvede e credo si ricomponga leggendo gli altri testi dell’autrice, ma che letto singolarmente galleggia nell’universo dell’indefinito.
Concludendo “La vergogna” non è un brutto libro e credo che Annie Ernaux abbia un proprio timbro specifico e una profonda sincerità narrativa, ma il testo pare piuttosto sbilanciato, asfissiato com’è da uno stile che non lascia spazio a nulla se non una cronaca austera, in bilico tra la biografia, l’analisi sociale e la volontà narrativa e castrato da una lunghezza insufficiente alle ambizioni. Non fatico però a credere che l’autrice possa essere molto apprezzata e avere molto seguito: c’è qualcosa di così dolorosamente vero in quello che scrive da costringere il lettore a una franchezza perentoria con se stesso. Il problema è che qui la forma non è in grado di sostenere il peso dell’opera.
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Sempre interessanti ed equilibrati i tuoi contributi, e sulla Ernaux mi ritrovo molto, una scrittura volutamente fredda con cui non mi sono trovata nemmeno io in sintonia. Ciao!
@Laura sì esatto, come tema potevo essere in sintonia, ma la forma secondo me non rende giustizia.
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