Dettagli Recensione
Per appassionati
Ultima conversazione pubblica di Romain Gary , realizzata da Jean Faucher per Radio Canada, poco tempo prima che l’autore ponesse fine alla sua vita, uscendo di scena in modo plateale, stile che gli era consono anche in vita. Sicuramente personaggio eccentrico, poliedrico, noto a posteriori per il suo impossibile doppio Goncourt del quale naturalmente tace anche in questa sede, avendo reso a tutti nota la paternità de “La vita davanti a sé” con una lettera postuma. Un uomo che si svela, ormai sessantacinquenne, cercando di smentire i falsi miti circolanti intorno alla sua persona, sfrondando il personaggio, spesso cucitogli addosso in modo posticcio da altri, per restituirci la persona. Il suo affabulare però è sempre di matrice picaresca e allora il racconto della sua vita, perché questo è in sostanza l’oggetto della conversazione, restituisce ancora nuovi particolari e nuovi miti. Colpisce senz’altro il ruolo rivestito dalla madre nella sua educazione, donna che lo ha portato a contatti con culture diverse, quella russa della nascita a Vilnius, la polacca, e per finire quella francese alla quale, da buona russa di fine Ottocento, maggiormente ambiva: “ il suo unico sogno è stato fare di me un francese”; avrebbe voluto addirittura partorirlo in Francia ma le doglie la sorpresero in viaggio, obbligandola a partorire a Vilnius. Raggiunta la Francia, Nizza per la precisione, quando Gary è in età da liceo, lavora sodo, lasciando la sua vecchia professione per fargli studiare legge, e lui stesso si mantiene con mille mestieri mentre già scrive. Nel 1938 va sotto le armi e tra alterne vicende, poiché non ancora naturalizzato francese, pur avendo frequentato la scuola da aviatore, non diventa ufficiale fermandosi al grado di caporalmaggiore, per non deludere la madre inventa uno scandalo sessuale di cui si sarebbe reso protagonista negli ambienti. Molto spesso traspare, durante la conversazione, un atteggiamento protettivo nei confronti della figura materna, e un rapporto speciale che inverosimilmente si mantiene attivo anche dopo la morte della donna. Niente di trascendentale, tranquilli, ma ancora una volta una situazione che fa somigliare la vita dello scrittore a un vero e proprio romanzo… lascio ai lettori la scoperta. Vero è comunque che questa conversazione, in termini di fatti, probabilmente non aggiunge molto alla sua prima autobiografia “La promessa dell’alba”, risalente a vent’anni prima, se non chiarire la stretta relazione esistente tra vita e pubblicazioni dei suoi innumerevoli romanzi, aggiungendo aneddoti e curiosità. Vengono quindi ripercorsi gli anni che , dopo la pubblicazione di “Educazione europea”, giudicato da Sartre il miglior testo sulla resistenza francese, lo portano a vivere una rocambolesca attività in campo diplomatico, rigettando infine tutto quel mondo che gli appare attraversato solo da ipocrisie e menzogne, in bilico tra ideali personali e politica coloniale che non condivide ma che si trova, suo malgrado, a difendere. La parte più intensa della conversazione è certamente quella finale, anticipata dalla leggerezza dei ricordi hollywoodiani e da una mini dissertazione sull’umorismo di Groucho Marx, ad avvallare la tesi che “l ’umorismo è l’arma bianca delle persone disarmate” , vi è inoltre una breve ma interessante rassegna sulla letteratura ebraica della scuola letteraria newyorkese. È la parte decadente, la finale, quella del campo che si restringe, dello sguardo volto più al passato che al futuro pur senza far affatto presagire la sua imminente e drammatica morte; una decadenza legata piuttosto a un sentimento della vita che si accompagna alla consapevolezza di non averla vissuta ma di esserne stati vissuti.
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L'impatto che ho avuto con la sua figura sta in "Anime baltiche" dell'eccellente Brokken. E l'effetto su di me è stato respingente.
Ora, tu parli di un uomo consapevole di 'lasciarsi vivere' . Premetto che non intendo affatto giudicarlo. Penso che sia questo 'lasciarsi vivere', che interpreto come 'non amare abbastanza la vita' , che mi ha portato a non provare interesse verso i suoi libri, consapevole che in letteratura i libri, nel profondo, sono lo 'specchio' di chi li scrive,