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Sogno o realtà
«Quella mattina, insomma, mentre eravamo in auto diretti verso la meta della nostra gita, la conversazione verteva sul mio sogno. Louis aveva fatto una domanda interessante: Sappiamo davvero quando comincia un sogno?»
La lampadina del proiettore è saltata. In pieno Fellini. Un assalto all’arnese per cambiarla, un grande botto, la caduta, la casa che si è spenta, il sogno. Una vita che passa davanti interamente in un bianco e lattiginoso scenario. Il ricordo, la passione. Un tributo? Questa è cosa certa. A chi se non a Fellini, regista che è cosa nota essere amato da Pennac così come cosa nota è il libro dei sogni realizzato con immagini e annotazioni dal direttore artistico che, per i più appassionati, era solito sognare quei personaggi che poi hanno conquistato i cuori dei più. Dato, questo, che è confermato anche dagli ultimi anni lavorativi del regista che lo hanno visto spengersi proprio a causa dell’assenza di quei sogni che in precedenza lo avevano condotto tra le fila delle tante pellicole realizzate.
E così Pennac decide di provarci. Decide di dedicare al suo idolo un testo che si legge in tempi davvero rapidi per dimensioni modeste – appena 140 pagine composte da brevissimi capitoli che vanno da una a quattro pagine ciascuno con molta ariosità di carattere e interlinea – e contenuto caratterizzato da una storia che più che altro rappresenta un lungo racconto di fatto privo di una trama univoca e soprattutto lineare. La prima difficoltà incontrata dal lettore che si avvicina al componimento è infatti questa: fatica a ricostruire la linea narrativa in quanto una vera e propria storia non c’è. L’autore è come se parlasse per metafora; una metafora all’interno della quale non è chiaro se il sogno è interpretato come scrittura o se è la scrittura stessa un sogno. Non solo. Esattamente come negli ultimi lavori a sua firma l’opera è totalmente narrata in prima persona e racchiude al suo interno una grande varietà di fatti autobiografici che seguono la falsariga de “Mio fratello” (per fare un esempio). Il confine tra realtà e sogno, tra realtà e letteratura, tra passioni e idoli è sottilissimo e si incentra proprio su questa scrittura che volutamente sembra ricalcare i lavori del regista.
Tuttavia, il mio rapporto con Pennac persiste a restare controverso. Per quanto “La legge del sognatore” possa essere un tributo, per quanto possa ricalcare lo stile a cui il francese ci ha abituato e per quanto possa ancora indurre riflessioni in chi legge, non mi ha convinta totalmente. Ho trovato questo lungo racconto incompleto e certamente adatto ad un pubblico più giovane che adulto nonché ad un pubblico meno avvezzo alle opere di Pennac.
In conclusione, buono l’omaggio, diverse le perplessità.
«Che effetto ci fa, cosa?»
«Invecchiare.»
Invecchiare? Che significa invecchiare…
Ha risposto per primo Louis:
«Significa sentire gli anni passare come settimane, mentre per te le settimane sono anni».
E io ho risposto:
«Significa percepire il peso del cielo».
«Una risposta da iperattivo e una da contemplativo,» ha commentato Alice.
«Oppure un’intuizione da matematico e un enunciato da fisico,» ha suggerito Christofo. «Da un lato il passaggio del tempo vissuto come progressione logaritmica, dall’altro l’usura fisica avvertita come un accentuarsi della gravità.»
È stato allora che le gemelle sono sbucate dalla cucina con l’autorità di un’unica, minuscola madre futura.
«Forza vecchi, a nanna che è tardi!»
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