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Il dolore, sacro e intoccabile
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Per chi ha letto Le cronache di Narnia, anche da ragazzo, non sembrerà una novità l’attaccamento alla religione di C.S. Lewis, che nel dialogo con Dio e su Dio ha costruito non solo tutto il suo mondo fantastico (il settimo e ultimo libro della sua saga è praticamente un trionfo religioso), ma anche la continua ricerca di un senso della vita indefinitamente sfuggente. Il rapporto dell’autore inglese con la religione non è quello di una adesione acritica o di una accettazione passiva delle cose che accadono, piuttosto è una continua lotta contro la propria incredulità, una sfida inesausta alla propria fede. Nelle pagine di questo breve libro, diario per frammenti dell’elaborazione del lutto per la moglie scomparsa, il dolore della perdita diventa occasione non solo per rendere testimonianza di quell’alternasi continuo di emozioni contrastanti, rabbia, odio, disperazione, indifferenza in cui il lutto fa precipitare l’uomo, ma anche lo strumento per chiedersi dove è Dio in un mondo che ti si sgretola tra le mani. Dove è Dio di fronte all’uomo sulla croce e dov’è la fede quando tutto è dolore e sconforto. Ecco, la bellezza minuta di questo libro di Lewis, non eccelso, ma coinvolgente nella lettura, è il duplice binario su cui di muove: da un lato il dolore umano, troppo umano di una vita ridotta in brandelli, dall’altro la lotta di un uomo che per credere arriva a negare Dio, a immaginarlo malvagio, un vivisezionatore. Più di tutto di Lewis dobbiamo apprezzare l’onestà del credente che ammette di fronte all’atroce che la propria fede vacilla e che può anche dire, nello sconforto, che Dio non c’è, perché solo il credente può bestemmiare. Poi certo, tornare alla fede, come Lewis fa, può sembrare del tutto consolatorio, una scelta facile o ipocrita, ma chi siamo noi per giudicare gli strumenti che chi soffre sceglie per andare avanti. Non c’è nulla di più sacro e inviolabile del dolore per una perdita, un’iperlagesia dei sensi che una sola parola di troppo, un solo sguardo un po’ storto possono esacerbare. E allora rispettiamo le scelte di Lewis, seguiamolo, anche se il libro è troppo poco per reggersi da solo, anche se la struttura è raffazzonata, anche se non ci dice nulla di nuovo. Perché la verità è che di fronte alla perdita, la vita non è vivibile e ogni perdita è una nuova perdita. E siamo soli. O forse c’è Dio. Perché la domanda non è se soffra più l’ateo o il credente, la domanda è: dove siamo disposti ad arrivare, per sopravvivere?
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Commenti
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Il giudizio "stellare" non è lusinghiero, una lettura non esaltante per stile e contenuto. In questo periodo non mi esalta l'argomento, ma sicuramente è interessante.
Chissà perché, Dany, credevo avessi in dotazione studi di ingegneria... Mio errore.
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Questa te la copio, la sfrutto, me lo consenti?
A parte gli scherzi, ma te la copierò sicuramente, questo scritto mi interessa: il dolore è tema di grande fascino.