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Paradiso
 
Paradiso 2019-11-26 07:34:33 kafka62
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
2.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    26 Novembre, 2019
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IL PROUST DEI CARAIBI

“Sappiamo soltanto ciò che ricordiamo”

Julio Cortazar, nella prefazione del romanzo di Lezama Lima, si figura, con un pizzico di vanità, un club “very exclusive” formato dai rarissimi lettori de “L'uomo senza qualità” di Robert Musil, de “La morte di Virgilio” di Hermann Broch e, appunto, di “Paradiso”, ammettendo che “leggere Lezama è una delle fatiche più ardue immaginabili e spesso più irritanti”. Dette da uno che ha scritto con “Rayuela” un libro che non è propriamente il massimo della scorrevolezza e della facilità, queste parole sono oltremodo significative e rischiano di decretare il de profundis su qualsiasi volenteroso tentativo di affrontare l'ostico autore cubano. In effetti leggere fino in fondo le oltre cinquecento pagine di “Paradiso” dà la stessa sensazione di correre una maratona con le scarpe di due numeri più strette, qualcosa che assomiglia molto al puro masochismo. Non solo, ma entrare nell'universo di Lezama Lima, così smisuratamente erudito e ostinatamente ermetico, lungi dall'attribuire al lettore un'aura di intellettuale superiorità, lo fa sentire profondamente, sconsolatamente stupido e ignorante, incapace com'è di riconoscere la stragrande maggioranza delle citazioni e dei riferimenti culturali esibiti. E' la stessa sensazione che si potrebbe provare nell'essere invitati a un rinfresco e scoprire inaspettatamente, con somma e irreparabile vergogna, di essere gli unici vestiti con abiti sportivi in mezzo a una moltitudine di partecipanti tutti rigorosamente in smoking! Allora, ci si chiederà giustamente, esiste una plausibile ragione per eludere queste scoraggianti premesse e leggere “Paradiso”? Il fatto è che l'impenetrabile babele dell'opera di Lezama Lima, la quale assomiglia molto a una giungla che, a guardarla in un documentario della BBC appare magari affascinante e meravigliosa, ma quando ci si trova in mezzo risulta terribilmente inospitale, nasconde al suo interno la più strabiliante riflessione sul tempo e sulla memoria che mi sia mai stato dato di leggere dopo la “Recherche” di Proust. Come il capolavoro di Proust, anche “Paradiso” è un romanzo-mondo in cui la descrizione ironica di un ambiente (là l'aristocrazia parigina, qui la borghesia creola) e il ritratto autobiografico (il protagonista José Cemì è infatti un evidente alter ego dello scrittore, come si evince da tanti dettagli: lo stesso nome di battesimo, il padre militare, l'asma di cui soffre fin dalla tenera età, gli studi di giurisprudenza) si alternano al titanico tentativo di far rivivere gli anni perduti della propria infanzia e adolescenza. Pure “Paradiso” ha le sue “madeleines” (qui sono le Marie inzuppate in una cioccolata al latte che la madre di Cemì gli preparava nei giorni in cui non c'era scuola, rievocate dal pezzo di cioccolato che un nipote regala alla nonna), e simili sono i due protagonisti, che spesso appaiono come fuori fuoco, defilati rispetto al contesto principale, mentre a venire privilegiato è ciò che, magari inessenziale in apparenza (personaggi secondari, riflessioni filosofiche), passa rapsodicamente, per libere associazioni, davanti alla lente di ingrandimento della memoria, in alcuni casi addirittura formando racconti a se stanti (il libro di Swann, il capitolo di Oppiano Licario).
C'è però in José Cemì una componente, se così si può dire, scopofila (egli è colui che tutto osserva, magari in disparte e non visto, come nella scena del cinema, in cui dalla sua poltrona si intrattiene a guardare Focion, il quale a sua volta, qualche fila avanti a lui, sta spiando Fronesis con la sua compagna), la quale mette in evidenza una marcata differenza tra le due opere. Mentre per Proust ciò che conta è esclusivamente il tempo, da “ritrovare” per mezzo della memoria, per Lezama Lima l'essenziale appare la forma del ricordo, cioè l'immagine. “Paradiso” è un romanzo strabordante di immagini, evocate con la demiurgica forza di una fervida immaginazione poetica. L'immagine è in grado perfino di ipostatizzare i sentimenti, donando in tal modo a Cemì la felicità di un possesso puro e incorrotto, libero dal sospetto di una latente omosessualità: ad esempio, l'immagine di Fronesis (che rappresenta in questo libro un po' quello che per Proust era Robert de Saint-Loup) precorre sempre ogni suo movimento e azione, sublimando la prosaica realtà (“mentre si trovava in fila sorgeva in lui l’impulso di un’immagine, quando già il suo turno si avvicinava l’immagine salvava i suoi frammenti oscillanti sul suo volto. Quando si trovò davanti allo sportello il volto anonimo che contemplava prese l’aspetto del volto di Fronesis. La spinta verso l’immagine ruppe i vetri del volto anonimo, e quando il suo desiderio riapparve aveva elaborato l’immagine della ricerca anteriore, al disopra della realtà anonima che contemplava”). Altrettanto importante per Lezama Lima è la parola: Cemì, Fronesis e Focion esprimono proprio attraverso la dialettica verbale la loro evidente affinità spirituale, e con le loro lunghissime e appassionate conversazioni, che occupano una larga parte del libro, riescono ad appartarsi dal mondo che li circonda e a raggiungere l'intimità di una amicizia esclusiva e inattingibile. Le parole sono anche la chiave di un mondo ignoto e misterioso, e poco alla volta fanno larvatamente percepire al protagonista il fascino irresistibile di un futuro in campo letterario (“L’esercizio della poesia, la ricerca verbale di una finalità sconosciuta, andavano sviluppando in lui una strana intuizione per le parole che acquistavano uno spicco animista nei raggruppamenti spaziali, sedute come sibille in un’assemblea di spiriti”). Parlare di parole vuol dire giocoforza parlare anche dello stile di scrittura, e in questo ambito la distanza tra Proust e Lezama Lima non può essere più grande: mentre lo scrittore francese cesella le frasi come un meticoloso miniaturista, Lezama Lima adotta un approccio squisitamente poetico, al punto che parlare di romanzo risulta abbastanza fuorviante, perché in realtà “Paradiso” è più propriamente un poema, sebbene in prosa anziché in versi. Il flusso irrefrenabile delle immagini in libertà, prive di un solido filo logico, fa sì che la storia di Cemì e della sua famiglia sia più simile al sogno che alla realtà. Non a caso nella sua opera Lezama Lima, con una sensibilità simile a quella dei surrealisti (i quali vedevano nel subconscio lo strumento ideale per cogliere l'essenza intima delle cose), fa spesso ricorso ai sogni, talvolta senza neppure darsi la pena di fornire l'evidenza del passaggio dalla veglia al sonno, se non con frasi criptiche (“il suo corpo passò nella regione di Persefone”), al punto che il lettore non riesce sempre a capire immediatamente se quello che sta leggendo sia un sogno oppure la realtà (si pensi agli ultimi tre capitoli, di difficilissima intelligibilità, relativamente ai quali l'autore stesso credette doveroso intervenire per spiegare che si trattava dei sogni di Cemì dopo la morte del padre).
“Paradiso” è anche un libro di una cultura smisurata. Dentro di esso c'è praticamente tutto, dai miti indigeni a quelli greci, da Nietzsche ed Hegel ai Padri della Chiesa, da Shakespeare a Gongora, da Bruegel a Dalì, da Platone a Pascal, e molto altro ancora. E' il trionfo di un'erudizione senza limiti apparenti, che tracima da ogni pagina e rischia di affogare il lettore, inevitabilmente impreparato (a meno che non si chiami Jorge Luis Borges o non abbia Wikipedia costantemente sotto mano) di fronte a un vero profluvio di nozioni storiche, religiose, artistiche e filosofiche. Come se ciò non bastasse, lo stile di Lezama Lima è stracolmo di barocchismi, di arcaismi, di assonanze simboliche, di metafore e di similitudini (un esempio tra i tanti: “Era come se i suoi piedi scivolassero su una sabbia di roccia, come se fosse un pesce avvolto nella carta vetrata, un cigolio, un'asprezza, quel rumore di proiettore delle lucerne, quel richiamo del sigaro già consumato che comincia a bruciare la pelle”). Il suo lessico raggiunge vette di incommensurabile immaginazione, che nella mia vita ho incontrato solamente in uno scrittore come Carlo Emilio Gadda. La sua capacità di creare neologismi e perifrasi è davvero prodigiosa: un cuoco è “frittelloso”, un piatto di rame “pellirossico”, delle sopracciglia sono “polifemiche”, mentre una amicizia è “quidditaria”, i bianchi dell'alba sono “zurbaraneschi”, un insonne esce alle prime luci del giorno per “irrugiadirsi un po'”, intanto che un ragazzo “chicchiricchia” i versi di un poeta, un musicista scuote “le trippabili sonoriche della chitarra” e gli eucalipti intrecciati “concubinano”. La sfrenata fantasia dello scrittore cubano sa destreggiarsi anche nelle scene più pruriginose, dando vita alle pagine più divertenti del libro: così il grande membro sessuale di uno studente diventa volta a volta un “attributo germinativo tronitruante”, un “dolmen fallico”, una “dismisura priapica”, un “faro alessandrino”, una “lancia pompeiana”, e così via dicendo.
Nonostante qualche raro intermezzo di boccaccesca leggerezza, il romanzo risulta tuttavia di una difficoltà quasi insormontabile. Della sua indubbia grandezza sono intuibili solo sporadici sprazzi: è un po' come se ci trovassimo dentro una caverna buia e profonda e cercassimo di illuminarla con il solo ausilio di una scatoletta di fiammiferi. L'unico modo per poterlo apprezzare almeno in parte è quello di lasciarsi cullare dalla parola poetica, che se a tratti è prolissa e ridondante, riesce nondimeno a raggiungere in certe pagine vette di lirismo assoluto. Il giudizio finale è quindi giocoforza ambivalente, anche se è veramente dura sopravvivere a dialoghi così sfiancanti come quello che Fronesis e Focion intavolano sul tema dell'omosessualità. L'etichetta di libro immorale che in passato gli è stata ingiustamente appiccicata da qualche recensore, dovrebbe a mio avviso essergli attribuita per quelle interminabili e ampollose concioni sulla “trasmutazione dei valori” e sulla “ipertelia dell'immortalità” (sic) che – ahimè – appesantiscono irrimediabilmente le sue pagine e hanno sul lettore lo stesso torturante effetto di una vergine di Norimberga. Quello che Lezama Lima rappresenta è indubbiamente l'eden perduto dell'autore, popolato di figure straordinarie e imprescindibili, descritte con tenera e inconsolabile nostalgia, come quelle della madre Rialta, della nonna Augusta, dello zio Alberto o dell'amico Fronesis, ma tutto rischia di essere troppo autoreferenziale, e per il lettore comune riuscire a penetrare in questo paradiso richiede davvero la virtù e la pazienza di un santo.

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Commenti

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Molly Bloom
26 Novembre, 2019
Ultimo aggiornamento:
26 Novembre, 2019
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Nooooo!!! Giulio, non solo conoscevi Paradiso ma lo hai anche letto! E' un libro sconosciuto dai più nonché appunto di difficile lettura. Ce l'ho anche io, in edizione Sur e ho anche provato a leggere ma a pagina 50 mi sono arenata e l'ho rimesso in libreria in attesa di tempi più maturi e "giusti". Poi ti faccio i miei complimenti per la meravigliosa recensione che ho letto con moltissimo piacere, essendo appunto un libro che gli giro intorno e sto cercando la strategia giusta per leggerlo. Con Ulisse avevo la guida, con Proust e Musil, seppur difficili riesci a seguirli meno male, ma Paradiso, dopo un inizio scoppiettante in cui capisci subito che stai leggende un grande libro, arrivi presto a perdere il filo e a smarrirti e purtroppo non ci sono schemi o guide che possano aiutare a comprendere, se non la tua mente. Stessa sensazione l'ho provata con L'incanto del lotto 49 (mi pare si chiami così) di Pynchon: dopo le prime 5 pagine già non capivo più niente :-)). Mi hai dato un forte input di riprendere in mano l'opera con più determinazione, speriamo sia la volta buona. Bella lettura, Giulio, complimenti di nuovo.
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kafka62
26 Novembre, 2019
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Grazie dei complimenti, Ioana. Se avrai intenzione di riprendere in mano il romanzo di Lezama Lima dimostrerai di avere davvero un bel coraggio, perché io sto ancora boccheggiando, come se fossi reduce da una immersione in apnea nelle profondità oceaniche :). Quando lo farai e deciderai di entrare anche tu nell'esclusivo club dei lettori di "Paradiso" (che a mio avviso dovrebbero essere tutelati come una specie a rischio di estinzione, un po' come i panda giganti :)) sarò veramente curioso di leggere le tue opinioni. Buone letture!
P.S. Mi hai fatto senza volere un bello sgambetto, perché avevo messo "L'incanto del lotto 49" tra le mie prossime letture :)
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Molly Bloom
26 Novembre, 2019
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ahahah...ecco l'Incanto l'ho abbandonato appunto alla quinta pagina :-)) quindi non so dirti nulla se non che è un libro che per il momento supera le mie possibilità. Potrei riprovare, ma dopo aver letto altro di Pynchon, come V. che sembra abbastanza abbordabile, ma anche L'arcobaleno. L'incanto è breve ma bello tosto. Facciamo così: io inizio Paradiso e tu L'Incanto :)
Che devo dire, complimenti per il coraggio! Certo che mi impensierisce molto, specie per la lunghezza che unita alla difficoltà della lettura, non agevola...
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Molly Bloom
26 Novembre, 2019
Ultimo aggiornamento:
26 Novembre, 2019
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Vero Danny, sarebbe interessante chiedere a Giulio quanto tempo ci ha impiegato per leggerlo, anche se è chiaramente una cosa soggettiva in base a molteplici criteri. Una cosa è certa o almeno credo: non puoi centellinarlo e leggerlo poco per volta come potresti fare ad esempio con Proust, ma li devi stare dietro se no ti perdi ancor di più. Ci sono libri che vanno letti "d'un fiato" per poterli finire e cogliere almeno l'essenziale. Poi ci sono le riletture per gli approfondimenti che passo volentieri ad altri :-)
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kafka62
26 Novembre, 2019
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Più o meno mi ci sono voluti quaranta giorni di "lettura matta e disperatissima", ma Cortazar, per esempio, ce l'ha fatta in dieci giorni, interrompendosi soltanto per respirare e per dare il latte al suo gatto Teodoro W. Adorno :)
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Molly Bloom
26 Novembre, 2019
Ultimo aggiornamento:
26 Novembre, 2019
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Ci sta come tempistica un mese e mezzo... Si, ho letto pure io il commento di Cortzar, bel nome per un gatto, pensa quando lo chiamava :-)
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DanySanny
26 Novembre, 2019
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Ioana stavo per dire la stessa cosa ahahah
siti
26 Novembre, 2019
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Complimenti per la lettura , io mi sono arresa con La morte di Virgilio e come sai non ho ancora letto Musil, stando a Cortazar, mai letto neanche lui, questa triade non fa per me...La tua recensione è molto chiara, non è tempo per letture così complesse...
Queste analisi con comparazioni/ confronti sono veramente interessanti. Mi affido a queste vostre opinioni per arricchirmi e vi ringrazio davvero. al momento non ho cuore di leggere libri lunghi ed anche difficili come quelli che citate. Per me "La montagna incantata" - tanto per nominare il romanzo-mondo che ho letto questa estate- è la perfezione. Sicuramente è ignoranza la mia ed anche scarsa motivazione a imbarcarmi in opere così lunghe e/o spossanti. A Giulio i miei più sinceri complimenti....ti ammiro tanto!
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