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Un cuore e un'anima rivolti al vivere
«Siccome sono ancora tanto giovane, e ho la volontà indistruttibile di non lasciarmi metter sotto; e siccome ho la sensazione di poter contribuire anch’io a colmare le lacune recenti, e me ne sento la forza – per tutti questi motivi io mi rendo appena conto di quanto poveri siamo diventati noi giovani, di quanto siamo rimasti soli.» p. 43
Quando Etty inizia a destinarci i suoi pensieri ha appena ventisette anni e un marchio, quello d’esser ebrea, che è pronto a condannarla da un momento all’altro. Le parole che riversa su quei quadernetti sono la sua speranza, il suo bisogno di luce in un mondo che sta diventando tenebra, in un mondo in cui la paura si taglia con un coltello per quel costante aumentare di minacce e terrore che crescono ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Tuttavia, “Diario” non è una sterile raccolta di aneddoti in procinto della deportazione, della persecuzione (che è percepita quale inevitabile), è il resoconto degli ultimi due anni di vita della Hillesum (che morirà nel novembre del 1943 ad Auschwitz dopo esser riuscita a consegnare le sue memorie all’amica Maria Tuinzing affinché la stessa potesse a sua volta consegnarle a guerra finita, perché l’autrice se lo sentiva che non sarebbe mai tornata da quel campo, a Klass Smelik e a sua figlia Johanna) e delle persone che in queste 730 giornate o poco più, ne hanno affiancato l’epilogo, quanto un inno vero e proprio al vivere. Se vi aspettate infatti un rapporto della paura, della disperazione, della tragedia, dell’inumano, questo testo non fa per voi. Perché per quanto lo si percepisca e lo si respiri battuta dopo battuta, quel che realmente emerge e lascia un segno indelebile nelle anime del conoscitore è lo spirito di questa giovane che vuol assaporare il tempo che le rimane con un atteggiamento volto al possibile, volto al dispensare amore, al cercare il positivo anche in quelle situazioni più drammatiche che tolgono il fiato, che sembrano insormontabili.
«Una volta vivevo sempre come in una fase preparatoria, avevo la sensazione che ogni cosa che facevo non fosse ancora quella “vera”, ma una preparazione a qualcosa di diverso, di grande, di vero, appunto. Ora questo sentimento è cessato. Io vivo, vivo pienamente e la vita vale la pena di viverla ora, oggi, in questo momento; e se sapessi di dover morire domani direi: mi dispiace molto, ma così com’è stato, è stato un bene.» p. 38
Dal ’43 queste memorie giungono al grande pubblico soltanto a partire dal 1980/81 quando J.G. Gaarlandt (di cui all’introduzione al testo) le riceve da Klass Smelik che, dopo il rifiuto di molti altri editori che non ne avevano avuto un’impressione favorevole, aveva ormai perso ogni speranza di pubblicazione. Iniziò da qui un serrato lavoro di decifrazione della stretta, piccola e fitta calligrafia di Etty per giungere alla prima pubblicazione in Olanda nel 1982 con il titolo “Il cuore pesante della baracca” e nel resto del mondo a partire dal 1983.
E così, conosciamo Esther, detta Etty, che vive in Olanda, che è originaria di una famiglia benestante, che ha una laurea in legge ma una grande passione per la letteratura e la traduzione dalla lingua russa tanto che si iscrive alla facoltà di lingue slave e che nutre un sentimento controverso per S.. È proprio S., ovvero lo psicologo allievo di Jung, Julius Spier di circa cinquant’anni, a consigliarle di scrivere e redigere quello che originariamente non doveva essere altro che un diario terapeutico. Ecco perché l’impianto del volume, per quanto la persecuzione sia elemento costante che emerge continuamente e i momenti bui in cui la l’animo vacilla innanzi alle avversità, è la ricerca del proprio essere mediante una indagine introspettiva mediante il dialogo interiore a cui si somma una ricerca spirituale con una parola rivolta a Dio, agli scritti sacri e un’altra rivolta all’uomo e alle sue scelte soventemente incomprensibili.
La Hillesum non si sottrae alle riflessioni, si focalizza sull’essere umano, sulla società, sul suo mutamento nel tempo – tanto che l’opera è fortemente attuale da questo punto di vista – ma mai smette di ricordare al lettore quanto il vivere sia bello, ricco di significato, un dono unico. Anche quando il male, il dolore tentano di farla vacillare. E come tale, ci sprona a viverla la nostra vita, al cento per cento, senza mai arrenderci alle ostilità.
«Il gran cranio dell’umanità. Il suo potente cervello e il suo gran cuore. Tutti i pensieri, per quanto contraddittori, nascono da quest’unico grande cervello: il cervello dell’umanità, di tutta l’umanità. Lo sento come un unico, grande insieme e forse è di lì che mi viene di tanto in tanto quel profondo sentimento di armonia e di pace, malgrado le numerose contraddizioni. Bisogna conoscere tutti i pensieri e sentirci passar dentro tutte le emozioni, per sapere che cosa sia stato ideato in quell’immenso cranio, e che cosa sia passato per quel gran cuore. E così la tua vita è un passare da un parto all’altro. Forse dovrò spesso cercare il mio parto, la mia liberazione in un cattivo pezzo di prosa, così come un uomo spinto dal bisogno trova la sua liberazione in quella che, detto energicamente, si chiama “puttana” – perché a volte si grida per partorire, in ogni modo.» p. 90-91
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