Dettagli Recensione
Bernad
«”Mi stai dicendo che hai sacrificato la tua morte per me? La resurrezione come sacrificio supremo? Grazie tante!”
“Puoi dirlo forte. Vivere non è mica uno scherzo”»
Dopo la morte di Bernard, il fratello più grande di cinque anni, Daniel ha cercato di scrivere, di elaborare con le parole il lutto, la sua prematura scomparsa a causa di un intervento chirurgico con complicazioni impreviste – e si scopre nella narrazione, anticipato da un tentativo di suicidio determinato da un disagio esistenziale dalle cause ancora ignote – , eppure non vi riesce. La sua mente, nei mesi successivi alla morte, è come paralizzata. Ha dei vuoti, non ricorda niente. Poi, a distanza di quasi dieci anni, durante la guida, un sorpasso inaspettato da una macchina terza rossa fiammeggiante alla sua vettura sulle autostrade nizzarde, rompe il blackout e Pennac sa che è giunto il momento, il momento di scrivere di questo legame, di questo bene così profondo. L’episodio, coincide, nemmeno a farlo di proposito con la messa in scena de “Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street”, un personaggio in cui lo scrittore rivede il fratello sentendolo nuovamente vicino seppur non fisicamente. Ed è tramite proprio questo personaggio che “Mio fratello” prende vita, forza e sostanza. Pennac, recitando la parte del notaio, ci trasporta nella Wall Street di Melville, osserva le reazioni del pubblico, e intervalla agli aneddoti della sua infanzia e età adulta con Bernard i passaggi più significativi della rappresentazione teatrale. Entriamo così nella mente di quest’ultimo, conosciamo la sua visione e il suo modo di affrontare la vita e le vicissitudini che questa riserva, le sue reazioni e la sua replica di fronte a reazioni eccessive e quindi inutili. E respiriamo ancora l’ammirazione e l’affetto incondizionato del minore verso quest’anima così singolare e eclettica, tanto che lui e il personaggio di Melville sono percepiti quali immuni e estranei alla quotidianità che li circonda. La loro dimensione, il loro essere è tale che non possono che vivere come vorrebbero tenendo conto dell’imprevedibilità che la vita stessa è.
«Era ingegnere aeronautico, specialista delle vibrazioni. Avrebbe preferito l’Ente forestale nazionale, gli alberi e gli animali. Sarebbe stato un bravo etologo. I concorsi di ammissione decisero diversamente. Così è la vita, a volte, nelle famiglia che accedono alle Grandes Écoles; non sei ammesso qui, ma sei ammesso lì, avresti voluto occuparti di uccelli e invece ti occupi di aerei. Una preferenza? Ma cosa sono questi capricci di fronte al prestigio da salvaguardare? […] Il concetto di probabilità aveva un grande ruolo nella sua vita: poiché al peggio non c’è scampo – una questione i probabilità – , non era il caso di drammatizzare. Facevamo molte battute, lui e io, sul gioco delle probabilità. Il giorno prima del mio esame per la patente mi consigliò di convincere l’esaminatore che era molto meglio attraversare gli incroci a centottanta che a venti chilometri allora. “Nove probabilità in meno di scontrarsi con un altro veicolo, signor esaminatore”.»
Un testo ricco di spunti di riflessione, ricco di emozioni e sensazioni, che parla da solo per restare per sempre. Si respira la forza del legame, si respira l’autenticità, si respira l’amore, senza mai cadere nel melenso e dove lo scontato e il prevedibile sono lontani anni luce.