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Un viaggio nel tempo e nella storia americana
I paesaggi perduti non è il diario di una vita di scrittura, e neppure una autobiografia tradizionale, bensì va inteso come i frammenti di un delicato diario autobiografico di Joyce Carol Oates, una delle più importanti scrittrici contemporanee, autrice di romanzi dalle trame avvincenti e con personaggi memorabili. Un diario, composto da uno straordinario collage di ricordi, impressioni, piccoli fatti quotidiani importanti o no, pudori e riservati sentimenti familiari, così belli e veri anche forse perché non urlati strepitando.
L’autrice narra solo quello che lei stessa considera determinante, ovvero gli episodi che in qualche modo hanno lasciato in lei una traccia indelebile. Cominciando dai primi lontanissimi sprazzi dell’infanzia, addirittura legati ai suoi due, tre anni, ricostruiti da una foto scattata davanti alla fattoria dei nonni adottivi ungheresi a Millersport, dove doveva vivere la sua famiglia, anche perché la Depressione aveva profondamente scosso in negativo l’America. Una comunicazione poco più che a gesti con la nonna che cucinava piatti speciali, ma non parlava l’inglese, cosa che invece in qualche modo faceva il gigantesco nonno che derideva bonariamente la piccola nipotina. La vita di un bambino in una fattoria con dei polli che presentano un mondo a sé, con Happy un pollo speciale come amico, un pollo femmina e affezionata a Joyce quasi come se fosse un cane è solo uno degli episodi determinanti. Poi c’è il padre che adorava suonare il piano, guardare la boxe, volare e la madre, madre e moglie straordinaria, ma che non ha mai superato appieno il complesso di essere stata “data via” dalla vera famiglia, che la Oates descrive: sono soltanto dei personaggi tra tanti che sembrano uscire da un romanzo, come il fratello, Fred Robin, di cinque anni più giovane di lei a cui dedica il libro, che le ha sempre dato affetto e supporto in ogni evento. Torna qui il duro impatto della autrice con la morte, ad esempio, quando la sua migliore amica, figlia di un grande medico, in crisi di depressione si uccide e la difficile accettazione della sorella minore che, con la sua diversità rappresenta una parentesi familiare pericolosa e triste. L’amore per la scrittura, gli anni dell’università a Syracuse, poi a Madison, con i suoi dogmi letterari e l’insonnia che la attanaglia, ma dove incontrerà Ray Smith, il suo futuro marito. E poi il primo racconto pubblicato da una rivista femminile…. Il matrimonio, il pellegrinaggio nei ricordi nelle varie università dove ha insegnato con Roy, e poi lo scrivere, il successo, i libri.
Ma forse il principale protagonista di questo libro è proprio il paesaggio, lo scenario di un’America rurale fatta di fattorie, avventure all’aria aperta, duro lavoro, felicità estive, che si è trasformato spesso in uno sfondo per tanti suoi futuri romanzi. Leggendo I paesaggi perduti scopriamo da dove nasce l’immensa fucina di storie conservata dalla mente di Joyce Carol Oates. E…. forse è la vera fonte della sua scrittura.
Una bella storia fatta di tempi e legami per l’autrice determinanti. Uno spaccato di vita vera di oltreoceano fine anni quaranta, cinquanta, meno patinata di quanto si vede spesso al cinema, ma reale, emozionante, interessante e narrata con grande umanità da una autrice brillante, vivace e in grado di farci fare con lei un lungo ed intelligente viaggio nel tempo e nella storia americana.
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Non conosco niente di questa autrice, di cui però si leggono spesso recensioni molto positive.