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Il figlio di un uomo felice
“Finché Ulisse è perduto, Telemaco non può andarsene di casa. Finché Ulisse non è a casa, rimane sconosciuto ovunque.”
Jaballa Matar, un oppositore del regime di Gheddafi. Rapito nel 1990 dai servizi segreti egiziani, non è mai tornato a casa.
Si sa con certezza che è stato imprigionato in Libia, in un carcere tristemente famoso per le torture e i massacri. Si sa che durante la prigionia ha dato esempio e forza e conforto per gli altri prigionieri. Si sa che ha dimostrato il coraggio di un gigante. Si sa che a un certo punto è sparito nel nulla. Dopo quel punto, non rimane niente di sicuro. Forse, è caduto nel massacro di migliaia di prigionieri. Forse.
Il figlio di Jaballa, l’autore del libro, non smette mai di cercare il padre. L’assenza del padre si dilata, gli invade la vita, impone senso e significato, diventa causa di sofferenze ma anche di una determinazione estrema a sopravvivere, a lavorare, a lottare per scoprire la verità e per liberare gli altri familiari prigionieri del regime.
In nome del padre, il figlio riesce a “fare chiasso”, a mettere in imbarazzo i governi europei che collaborano con il regime. Arriva a incontrare il figlio di Gheddafi, nella speranza di scoprire la verità sul destino di suo padre. E con il tempo, la ricerca di chi non tornerà mai apre le porte per un ritorno a casa, in quella terra odiata e amata tanto intensamente.
Un memoir meraviglioso, che ci apre gli occhi sulle vergogne della storia europea, delle responsabilità di Paesi come l’Italia e l’Inghilterra nella tragedia di un popolo che sembra interminabile. Una narrazione che indugia sulle bellezze dei paesaggi e dell’arte, ma anche sull’interiorità dei personaggi, tratteggiando con poche, sapienti, spietate pennellate le stanze segrete dell’essere al mondo.
Un memoir che ci accompagna nelle dimensioni interiori del non sapere, che ci aiuta a sfiorarne le dimensioni buie, dimensioni che impongono un tempo che appartiene soltanto a chi le subisce, nella carne e nel sangue. Un memoir che ci espone a un tempo senza direzioni, non declinabile nel linguaggio di chi ha vissuto la continuità, di chi è cresciuto passo dopo passo, senza fratture, senza precipitare nella catastrofe della perdita assoluta, cieca e muta, che lascia immaginare senza porre limiti all’orrore.
Un figlio dovrebbe salutare il padre prima di uscire davvero di casa, ad affrontare davvero il mondo in prima persona. Telemaco non può prendere il mare, se il padre non torna dalla sua Odissea. Senza ritorno, non vi è alcuna partenza,
“Sentivo la forza violenta della vertigine. Come se io e lui ci trovassimo sulle due sponde di un fiume sempre più immenso, immenso come un oceano.”
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Hai ragione quando parli delle "vergogne della storia europea" e delle responsabilità di diversi paesi del vecchio contimente (partendo magari proprio da quelle dell'Italia) di fronte ai regimi dell'altra sponda del Mediterraneo: la Libia di Gheddafi, la Tunisia di Ben 'Ali (anche se non sembrava, quest'ultimo è stato uno dei regimi più crudeli di tutto il mondo arabo)... tutti sostenuti dall'ipocrisia dell'Occidente e delle nostre diplomazie. Grazie!