Dettagli Recensione
un linguaggio creativo che ambisce alla conoscenza
“Nessuno scrive quello che è ma ciò che vorrebbe essere.” (p.13)
Ad un anno dalla morte di Péter Esterházy (Budapest, 14/04/1950 - Budapest, 14/07/2016), scrittore e matematico, discendente da una delle più nobili e antiche famiglie ungheresi, Feltrinelli pubblica “Esti”, uscito per la prima volta in Ungheria nel 2010 e ora tradotto anche in italiano da Giorgio Pressburger.
Péter Esterházy è uno degli scrittori ungheresi più conosciuti all'estero e le sue opere sono state pubblicate in più di 20 lingue; ha vinto premi in Francia, Austria, Germania, Slovenia e Norvegia. Nel suo paese, tra i numerosi riconoscimenti conferitigli, si segnala nel 1996 il prestigioso Premio Kossuth mentre in Italia, nel 2013, gli è stato assegnato il Premio Mondello Autore straniero.
“Esti” è un omaggio a Kornél Esti, un famoso eroe ungherese frutto dell'ingegno di Dezso Kosztolányi, è il soprannome dell'autore quando frequentava l'università, ma è soprattutto una biografia sui generis: 77 storie in cui l'autore si diverte a stravolgere i canoni della scrittura tradizionale passando in continuazione dalla prima alla terza persona, diventando di volta in volta soggetto e oggetto della narrazione. Così se Esti, all’inizio, si rivela il rampollo di una famiglia ungherese di origini nobiliari, esattamente come l’autore del libro, subito dopo ammette di contenere in sé le esperienze vissute da chi l’ha preceduto. Esti può trasformarsi indifferentemente da uomo a donna, può essere la cameriera eletta La Bella del Kentucky, costretta per contratto a mangiare quantità inverosimili di hamburger, ma può anche assumere le sembianze di un cane; Esti può perfino diventare un oggetto inanimato: ad un certo punto è trasformato in un dipinto. Stretto tra le quattro pareti della sua cornice, Esti si sente come Gregor Samsa: vittima di una misteriosa metamorfosi, non può che rimanere in attesa di essere stracciato dal suo artefice.
Esti dialoga con personaggi storici, reali o immaginari: in un capitolo Esti racconta di essere stato amico di Pierre Menard (fantomatico scrittore francese protagonista di un racconto del 1944 di Jorge Luis Borges) autore di un “Don Quijote” perfettamente speculare a quello di Miguel de Cervantes.
“Esti” è un romanzo alla ricerca di una identità frammentata, poliedrica ed incoerente; il testo è un intreccio labirintico, altalenante tra passato e presente, totalmente fuori dagli schemi tradizionali. La narrazione non segue alcun ordine, è frastagliata e composta di aneddoti e citazioni. Solo alcuni episodi (presenti soprattutto nella seconda parte) sembrano rispettare i canoni di una classica biografia: in un capitolo l'autore riporta ricordi di quando era bambino, l'acquisto della sua prima bicicletta e la delusione che ne seguì per l'inaspettato ed incomprensibile furto. Da questo episodio si evince l'ambiguo rapporto tra il protagonista e suo padre, relazione caratterizzata da affetto, ma anche da profonde incomprensioni e da valori ed interessi diversi.
Ancora più complesso dell'intreccio è il linguaggio: considerato "uno dei più interessanti e originali scrittori del nostro tempo" da Mario Vargas Llosa, Péter Esterházy ha sempre fatto dello sperimentalismo formale e della ricerca stilistica la cifra della sua scrittura. Esterhazy è un fuoco d'artificio di neologismi, latinismi, termini tratti da diverse lingue straniere, citazioni colte di ordine filosofico, storico, musicale, frammenti letterari che, per poter essere compresi, richiedono al lettore una cultura non indifferente. Il suo stile è quanto di più vario si possa trovare, passa con estrema nonchalance da termini colti a termini triviali, in una commistione tra stile alto e basso, tono drammatico e tono ironico.
La lettura di questo romanzo è stata per me un'esperienza alquanto faticosa e non molto appagante; come ho già detto, il testo manca di una struttura tradizionale, lo stile è sperimentale, il linguaggio molto ardito. Nel modo di scrivere di Péter Esterházy si percepisce uno spirito innovativo e ribelle che solo in parte sono riuscita ad apprezzare, ma è indubbiamente un mio limite.
“Il linguaggio della letteratura non è quello dei dialoghi tra persone intelligenti. Questo linguaggio non mira alla comprensione, ma alla creazione. La creazione è un affare oscuro, nebuloso, fare qualcosa dal nulla non va da sé. Ma vogliamo sperare che sia profondamente umano. (…)
Il linguaggio della letteratura non ambisce alla comprensione, ma alla conoscenza.” (p.338)
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Commenti
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- mi accodo alle parole di Laura -
commento pregevole e genuino!
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