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E' qui che comincia il deserto
“Sono tornata analfabeta. Io, che sapevo già leggere a quattro anni”.
Per apprezzare al meglio questo racconto autobiografico occorre aver letto almeno un'opera della scrittrice ungherese, in modo che, scorrendo le pagine, sia possibile riconoscere personaggi (anzi, persone), situazioni, percezioni, fonte della sua prosa così originale, carica di tormento, nostalgia e un filo di follia.
La Kristof, profuga approdata in Svizzera dopo l'invasione russa dell'Ungheria, è un'anima smarrita destinata a vagare per strade sconosciute, ma a testa alta, con una fierezza priva di gioia di vivere, ma solida.
Dapprima figlia, sorella, nipote, poi, con uno strappo inesorabile, allieva in un collegio per ragazze povere, poi madre e moglie (non una parola di affetto nei confronti del marito) e operaia in una fabbrica, conoscerà l'esistenza piatta e senza speranza di una donna che ha perduto l'appartenenza ad un popolo: “E' qui che comincia il deserto”.
Sceglie per sfida di scrivere in francese, lingua “nemica” appresa in età adulta, che non sentirà mai del tutto sua e che d'altro canto, giorno per giorno, insidia, “uccide” la sua lingua madre.
Rimpiangerà sempre il fatto di aver lasciato il suo paese, vagheggiando una vita povera, dura, ma autentica, “forse felice”.
E' una scrittura sintetica e amara, quella della Kristof, distillato della sua disperazione, ma lascia un'impronta preziosa nella memoria del lettore che riesca a captarne tutto il magnetismo.