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Sull'argine dell'eternità n°24
Ho sempre avuto un debole per i libricini; quelli che in 100, 150 pagine al massimo riescono a scuoterti come una centrifuga; quelle robette che profumano di nicchia, minuscoli manicaretti tanto gradevoli al palato quanto carenti nel saziare la nostra fame di storie. Hrabal te li butta li questi aneddoti, queste storielle, come fosse un vecchio amico un pò brillo, di vita più che d'altro. Questi libretti, che rientrano personalmente nella casistica sovra citata, son riusciti, senza troppi artifici, ad insediarsi in qualche parte molto profonda del mio essere e per questo ammetto di essere un pò troppo di parte quando si parla di Hrabal. In primis perchè l'abito da “tenero barbaro” o da “pàbitelè” (neologismo con cui lo stesso autore definiva i suoi protagonisti come " coloro che sono capaci di esagerare, poiché fanno tutto con eccessiva passione e rischiano dunque di sembrare ridicoli“) veste a pennello la mia persona ed infine perchè son condannato a prendere la vita tremendamente sul serio, proprio come Bohumil, Egon e soprattutto Vladimir, i personaggi principali di questo libretto sul quale proverò a dire la mia.
In un batter d'occhio lo stile del vecchio riesce ad immergermi nella sua atmosfera tipica: le ambientazioni spartane, i vicoli di Liben, le osterie; il fluire dei pensieri svela la rotta nella quale i protagonisti tracciano veri e propri viaggi metafisici e onirici potenziati dall'alcool e da una sana dose di follia.
Questo libretto ha due bei boccali di birra in copertina poiché gran parte delle storie dello scrittore boemo navigano in veri e propri fiumi di biondo nettare. La trama gira intorno a Vladimir Boudnik, artista fuori dalle righe , ultrasensibile e passionale, e all'amicizia, sempre fuori dal comune, che lega quest'ultimo allo stesso Hrabal e al filosofo Egon Bondy. Il romanzo intero è un omaggio alla figura pittoresca di Vladimir in cui sarà lo stesso Hrabal, in prima persona, a delineare la particolarissima personalità dell'amico, a narrarci le avventure vissute insieme e i tormenti di questo incredibile personaggio praghese degli anni 50'.
“Vladimir amava la periferia, amava le strade sempre sventrate […] Vladimir non ne aveva mai abbastanza, non poteva smettere di guardare quella bellezza svelata, in cui l'ordine è il caos. Scrivendo i miei ricordi su di lui uso il suo metodo, anch'io lascio il testo come una strada sventrata, e starà al lettore appoggiare una tavola o una passerella inchiodata alla svelta dove più gli piacerà, sui fossati delle frasi e delle parole che scorrono sparpagliate, per passare dall'altra parte...”
Per Bohumil, Vladimir era uno che "Dal latte scremato estraeva la panna, dalla polvere di carbone i brillanti, di un passerotto faceva l'araba fenice, di un paralitico un corridore, profondeva sempre il suo talento dove c'era poco di qualcosa, per dimostrare che omnia ubique e che il massimo è nel minimo, che ogni punto del mondo è il centro del giardino dell'Eden, mentre i giardini pensili si trasformano lentamente in macerie e polvere e in quella polvere ogni bellezza resiste, in quel pizzico di argilla ogni cosa ricomincia..."
Libretto che trasuda amicizia e vita vera, troppo breve per potersi separare da questi tre sbruffoni dell'Eternità senza soffrire un po' di nostalgia e piacevole inappagamento appena chiusa l'ultima pagina. A volte, ho avuto la piacevole sensazione di essere proprio li insieme a loro a sporgermi su quell'Argine dell'Eternità solo per vedere quali bellezze potessero celarsi dietro gli abissi dell'Infinito.
"Voi che siete semplici spettatori, sforzatevi tutti di sollevare un poco la pelle della materia, come faceva Vladimir, cercate di raggiungere le splendide mucose delle forme vive e di quelle prive di vita, non abbiate paura ed eseguite la vivisezione di voi stessi, e non solo, di qualsiasi cosa, perché solo così potrete stupirvi fino alla fine della vostra vita comprendendo che la materia ha creato gli occhi umani solo per poter vedere e riconoscere in essi la propria miliardoedrica bellezza."