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Diario 2016-04-24 15:53:54 joannes88
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joannes88 Opinione inserita da joannes88    24 Aprile, 2016
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Il cuore pensante della baracca

“Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore”

Mentre tutto si fa buio attorno a lei, una giovane donna ebrea di ventisette anni conserva ed alimenta una luce nel proprio animo, cercando continuamente nel prossimo “quel nudo, piccolo essere umano che spesso è diventato irriconoscibile, in mezzo alla rovina delle sue azioni insensate”.
Questa giovane donna è Etty Hillesum, che col proprio diario ci ha donato non solo la testimonianza degli ultimi due anni della sua vita, ma anche e soprattutto un ricco affresco interiore, carico di profonde riflessioni personali che a differenza di quanto si possa immaginare non vengono da uno spirito tormentato e afflitto, ma da un cuore costantemente pronto ad irraggiare amore e volontà di vivere in ogni situazione, anche la più drammatica.
Etty Hillesum muore ad Auschwitz nel novembre del 1943, ma prima di essere deportata in Polonia, consapevole che il cerchio attorno a lei e alla sua famiglia va sempre più stringendosi, riesce a consegnare i propri scritti all’amica Maria Tuinzing. Al termine della guerra i suoi amici tentano in più occasioni di trovare un editore che dia alle stampe quel documento prezioso. Ci vogliono quasi quarant’anni perché questo accada, ma poi il successo del diario è vasto e immediato: dalla piccola, Olanda le parole e i pensieri della Hillesum arrivano presto in tutta Europa e nel resto del mondo.

“Avanti, allora! È un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe”. Eshter Hillesum (per tutti Etty) vive in Olanda, nei pressi di Amsterdam. Ha una laurea in legge e una tenace passione per la letteratura, in particolare quella russa. Si iscrive infatti alla facoltà di lingue slave e quando può offre ripetizioni di russo. Vive a casa dei suoi, in una famiglia benestante, e frequenta alcuni personaggi in vista della borghesia ebraica della sua città. Non è insomma quella che si direbbe una ragazza del popolo, anche se nel corso della sua esistenza – specialmente nei suoi ultimi tragici atti – darà sempre prova di un forte senso di appartenenza alla sua gente.
Una “personalità luminosa”, una ragazza dal temperamento solare e vivace, con molti amori alle spalle e due sogni nel cassetto: viaggiare in oriente e diventare una scrittrice. Etty comincia a scrivere il suo diario su consiglio del proprio psicologo, Julius Spier, un uomo di cinquant’anni famoso per essere stato allievo di Jung e per aver sviluppato un particolare talento nel leggere la psiche dei suoi pazienti dalle loro mani. Spier diventa un punto di riferimento fondamentale per Etty, che se ne innamora e raccoglie il suo stimolo a intraprendere un lungo ed intenso percorso di introspezione attraverso la scrittura. Nato dunque con finalità “terapeutiche”, il diario della Hillesum non è un resoconto della guerra e neppure un racconto dettagliato della persecuzione degli ebrei d’Olanda. Certo, i due temi affiorano spesso nelle annotazioni dell’autrice, soprattutto nell’ultimo anno della sua vita, e sono indiscutibilmente alla base di svariate riflessioni, tanto di carattere generale quanto di natura intima e personale. Ma l’architrave del diario, decisamente scarno in termini di cronaca, è l’incessante, ostinata e talvolta dolorosa ricerca di sé, esposta nella forma di un intenso dialogo interiore, a tratti fortemente spirituale.
Nei suoi scritti Etty mostra una spiccata inclinazione a vivere la propria esistenza dall’interno verso l’esterno, e non viceversa. Il 12 giugno del 1942 annota: “Non sono mai le circostanze esteriori, è sempre il sentimento interiore – depressione, insicurezza, o altro – che dà a queste circostanze un’apparenza triste o minacciosa”. Ed è a partire da questa convinzione che Etty cerca costantemente un’armonia dell’anima, resa tanto più utile e necessaria in un periodo tragico per le sorti del suo popolo. Individua così due modi per raggiungere la propria pace interiore e contrastare quegli innumerevoli nemici che la minacciano dall’esterno. Il primo, ovviamente, è la scrittura: “Il peggio verrà quando non mi sarà più concesso di tenere matita e carta per schiarirmi le idee di tanto in tanto. Senza questa possibilità, che per me è di un’importanza essenziale, potrei anche scoppiare e distruggermi dentro”. Il secondo è la preghiera. Etty intraprende un cammino spirituale molto impegnato, dove alterna letture della Bibbia a momenti di raccoglimento e preghiera che definisce nel proprio diario come la sua “cura” e “l’unico atto degno di un uomo rimasto di questi tempi”. Il 10 ottobre del 1942 scrive: “Com’è strana la mia storia – la storia della ragazza che non sapeva inginocchiarsi. O con una variante: della ragazza che aveva imparato a pregare. È il mio gesto più intimo, ancor più intimo dei gesti che ho per un uomo. Non si può certo riversare tutto il proprio amore su una persona sola”.
Sono molte le pagine in cui Etty si rivolge direttamente a Dio, e ciò non già per disperazione (sentimento del tutto assente nei suoi scritti), bensì per una fede incrollabile che non cede neppure di fronte ad eventi gravi come quelli che sconvolgono l’Europa del suo tempo. Etty colloca Dio nel cuore degli uomini e sostiene che “non è responsabile verso di noi per le assurdità che noi stessi commettiamo: i responsabili siamo noi!”. Aggiunge inoltre: “Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che Tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare Te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati di altri uomini”.
Ma quello che lascia piu stupiti nel diario di Etty Hillesum è il suo continuo insistere sulla bellezza della vita e sulla sua pienezza di significato. Sono parecchie le pagine dove troviamo pensieri di questo tenore: “Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. So tutto quanto e non mi preoccupo più per le notizie future: in un modo o nell’altro, so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto”. L’amore che Etty prova per la propria esistenza in un momento per lei così difficile può a prima vista apparire forzato od innaturale, quando in realtà è del tutto coerente con la sua visione del mondo e la sua concezione degli uomini: “Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente, quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso contro quella banda di barbari, e grazie a lui non si avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero”.
Qualcuno ha scritto che “se Etty continua a ripeterci che tutto è bello, è perché un’ebraica volontà di vivere fondo in fondo vuole questo in lei” (Sergio Quinzio). Può darsi, ma forse si può formulare anche un’altra spiegazione: in Etty infatti trova splendida manifestazione quella capacità tipicamente femminile di superare le avversità della vita con grazia e semplicità.

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Recensione interessante ed esaustiva. Inevitabile, ma limitativo, il paragone con Anna Frank.
Emilio Berra  TO
25 Aprile, 2016
Ultimo aggiornamento:
25 Aprile, 2016
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Ciao Giovanni. Trovo molto bella la tua recensione. Anche a me il libro è piaciuto parecchio : nonostante tutto, la speranza colma ogni pagina; la spiritualità è una luce che tutto illumina; nell'incombere della tragedia, è la vita ad essere sempre in primo piano.
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